Un vecchio (??) articolo di Lidia Ravera, gennaio 2008
Dispiace dirlo, pare esagerato o indelicato, ma l’avversione verso la legge che sancisce per le donne il diritto di decidere se il proprio corpo e la propria psiche (anima?) sono pronti per il difficile compito di dare la vita e poi crescere ed educare un essere umano, è diventata una forma ossessiva, un tormentone di centro destra che da trent’anni, come una malattia nervosa, minaccia l’equilibrio della nostra società. Ad ogni cambio di stagione politica qualcuno la estrae, la legge 194, dal panierino delle nostre, non poi così numerose, conquiste di civiltà e prova a buttarla nella grande discarica dei nostri fallimenti, là dove giacciono buone regole per accedere alla procreazione assistita, ovvie estensioni dei diritti civili ad omosessuali e coppie di fatto, licenza di non essere sottoposti ad accanimento terapeutico, permesso di porre fine alla propria vita qualora condizioni disperate rendano questa decisione necessaria. Come mai? Che cos’ha di così terribile il principio tanto semplice che sta alla base della legge per l’interruzione di gravidanza? Proviamo a ripeterlo per la milionesima volta: le donne e soltanto le donne, in quanto tocca a loro prestare carne e sangue alla procreazione, possono valutare se portare a termine o no una gravidanza. Lo faranno con coscienza, cercheranno in tutti i modi di non doversi avvalere del diritto d’aborto, ma devono sapere che possono farlo. Non sono macchine, sono persone. Non sono proprietà né della Chiesa né dello Stato, sono libere cittadine, le donne. Sanno bene che saranno loro e i loro figli a pagare per tutta la vita un errore di valutazione. Il mondo è pieno di infelici, ne volete degli altri? Volete altri neonati avvolti nel cellophan e abbandonati a morire di freddo nei cassonetti dell’immondizia? No, naturalmente. Voi volete delle belle famiglie, coese e responsabili, dove circolino affetto e cura. Le volete voi, cari avversari della nostra buona legge 194, ma le vogliamo anche noi. Noi: femministe, progressisti laici e cattolici, democratici illuminati dalla ragione e non da preconcetti e/o supersitizioni. Che cos’è, allora, che ci divide? La diversa valutazione dell’età del feto, il fatto che per noi sia materia grezza e per voi “bambino non nato”? Oppure la diversa valutazione della madre: il fatto che per noi sia una persona e per voi un divino strumento in cui Domineddio soffia quando gli pare i suoi ordini? Forse tutte due le cose. O forse nessuna delle due e l’anima dei bambini, come l’autodeterminazione della mamme, viene tirata in ballo soltanto quando serve, per il cinico gioco della politica. Quando Giuliano Ferrara, materialista pentito, assimila la pena di morte, barbarico residuo di culture precivili, all’interruzione di gravidanza, il sospetto dell’uso strumentale di un dilemma etico si rafforza. Quando Papa Ratzinger definisce l’aborto “un delitto abominevole” si sente risuonare sinistra l’antica crudeltà della Chiesa, quella che metteva certe donne al rogo con l’accusa di stregoneria, che torturava e ammazzava in nome dell’amore di Cristo chiunque le si opponesse, chiunque credesse ad altro o avesse l’umiltà di non credere a niente di non dimostrabile, o osasse coltivare l’intelligenza del dubbio.
Delitto abominevole: che insulto per le donne che non ce l’hanno fatta a prendersi la responsabilità d’essere madri! Le troppo giovani, le troppo fragili, le malate, le instabili, le abbandonate, le troppo povere. Ma non si prova vergogna a chiamarle assassine? E’ veramente difficile, con tutta la buona volontà, mantenere aperto un dialogo con i cattolici, quando il loro Pastore Massimo si esprime con frasi così dure. E’ difficile e forse c’è chi non lo vuole veramente. Non lo vuole Ratzinger che continua a rifilare le sue scomuniche “urbi et orbi” come se tutta la società italiana facesse parte della sua Ecclesia. Non lo vuole Ruini, non lo vuole Giuliano Ferrara, il neofita entusiasta. Non lo vogliono quelli che non rispettano la libertà di coscienza e pretendono di imporre la loro fede come se fosse l’unica visione del mondo accettabile. Non lo vuole chi ritorna, ciclicamente, instancabilmente, a mettere in discussione tutte le battaglie vinte trent’anni fa (quando ancora avevamo la forza di vincere qualche battaglia) nel tentativo di adeguare l’Italia ad altri “paesi avanzati”, dove si può divorziare, procreare con l’aiuto della scienza o non procreare con il permesso dello stato, sposarsi anche se si è pastori d’anime, pagare le tasse per il bene di tutti, sostenere i più deboli con le tasse dei più ricchi, farsi una famiglia anche se ci si ama fra persone dello stesso sesso e così via.
domenica, agosto 02, 2009
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