sabato, aprile 18, 2009

venerdì, aprile 17, 2009

A PROPOSITO DI SANTORO E L'ABRUZZO...

Da "Il giornale" a firma di Mario Giordano... (è quello con la voce da donna?!?!?!?!)

"Caro Santoro, anzi caro onorevole, visto che m’ha chiesto di chiamarla così, so bene che quando si è invitati nei salotti altrui non è buona educazione raccontare al mondo quel che ci si è detti. Ma siccome quel salotto era in diretta su Raidue in prima serata, davanti a svariati milioni di telespettatori, mi permetto di infrangere le regole. Non me ne vorrà. In fondo lei di regole infrante è un maestro. E, in effetti, dopo aver fatto a pezzi quelle della par condicio e del buon senso, l’altra sera ha definitivamente massacrato anche quelle del buon gusto e della civiltà. Missione compiuta, olé. Il suo ultimo Annozero, mi permetta, è stato uno spettacolo squallido, un atto di sciacallaggio ributtante, che non mette più la polemica sull’asse di ciò che è di sinistra o non di sinistra, ma di ciò che è civile e ciò che non lo è più. E mi chiedo se sia possibile che lei e i suoi sottopanza siate così accecati dall’odio e dalla faziosità da perdere non dico l’equilibrio politico, che quello l’avete già perso da tempo, ma anche il senso di umanità. E che non vi rendiate conto che tutto questo vi porta lontani dal Paese reale, dal sentimento diffuso di commozione e solidarietà, dall’Italia che si unisce di fronte alla sofferenza, per una volta provando a ragionare non per schemi di partito, ma secondo bisogni, urgenze e necessità. Provi a togliersi per una volta la giacchetta da europarlamentare, caro onorevole Santoro, provi a togliersi per una volta i paraocchi del katanga in servizio permanente effettivo. Vedrà che in Abruzzo c’è un’umanità dolente e dignitosa, lacerata e orgogliosa, che non chiede bandiere di partito né polemichette pretestuose. Chiede risposte concrete. Responsabilità. E serietà. Per una volta, proviamoci, anche noi, che abbiamo per le mani il bene prezioso dell’informazione. Proviamoci a togliere la maglietta di parte e a guardare la tragedia senza pensare a quel che ne potremmo guadagnare in termini di marchette politiche. Proviamo a essere seri. E lei che è un gran professionista lo sa: attaccare la Protezione civile per il ritardo nella consegna di una bottiglietta d’acqua (una! Su 27mila sfollati!), mentre ci sono le bare dei morti ancora aperte e i soccorritori che rischiano la vita fra le macerie, non è serio. Anzi, sarebbe perfino ridicolo, se non fosse tragico. Tragico per le vittime, innanzitutto. Ma tragico anche per lei, per la sua squadra avvilita nei bassifondi della polemica, per la sua professionalità ridotta a zerbino in nome dell’ideologia, per la sua umanità schiacciata sotto il peso dell’odio politico. In Abruzzo i soccorsi hanno funzionato. Lo sanno tutti, lo dicono tutti. I volontari sono stati eroici, hanno salvato decine di vite umane. Le tendopoli sono state operative in tempi record. Non c’è stato caos, non c’è stata disorganizzazione. Tutti gli osservatori, italiani e stranieri, di destra e di sinistra, hanno potuto notare che per la prima volta sul luogo della tragedia si è sentita forte e tempestiva la presenza dello Stato. Chissà perché gli unici che non se ne sono accorti sono stati i suoi inviati, poveri kamikaze spediti sul posto a cercare disperatamente di trasformare una efficiente opera di soccorso nella Caporetto di Bertolaso.Per altro, mi lasci dire, caro onorevole, evidentemente lei non è più il maestro di un tempo, l’esperienza a Bruxelles l’ha rammollita o gli allievi sono scarsi: ammetterà che hanno lavorato proprio male. La tesi si poteva argomentare in modo assai migliore, di voci contro, in quella situazione, se ne potevano raccogliere un’infinità. E loro, invece, gli sciagurati di Caporetto, che cosa le hanno portato in pasto? Una bottiglietta d’acqua consegnata in ritardo, lo sfogo di un medico chiaramente sfinito e poco altro. A guardare bene, tutte interviste forzate, con domande tranello, risposte indotte e montaggi con tagli spericolati. Poca roba, lo sa anche lei, chissà come li avrà sgridati nella solita riunione che fate il giorno dopo per esaminare, minuto per minuto, gli errori commessi in trasmissione. E che dirà allora di quei collegamenti con Ruotolo? Erano così noiosi... Ci voleva tanto a trovare qualcuno che dicesse «Bertolaso è un incapace» con efficace sintesi televisiva? Evidentemente nemmeno Ruotolo è più quello di una volta... Su, onorevole Santoro, sia sincero: in fondo portare in tv qualcuno che si lamenta contro la Protezione civile in mezzo a 27mila sfollati non è mica una missione complicata. Se vuole gliene troviamo altrettanti in cinque minuti anche qui nel centro di Milano, dove pure la gente non ha patito sulla sua pelle il terremoto. La scarsità delle testimonianze da voi raccolte è una conferma (se ce ne fosse bisogno) che la Protezione civile ha funzionato bene. Ma mi resta un dubbio: possibile che non abbiate incontrato nemmeno uno che ringraziava i soccorritori? Possibile che non vi sia venuto in mente di intervistare così, en passant, anche uno della Protezione civile? Non li avete trovati? Ruotolo è così bollito? Lei dice bene che non si può sventolare l’eroismo dei volontari come pretesto per non parlare dei problemi. Siamo d’accordo. Ma non si possono nemmeno sventolare i morti come pretesto per dire fregnacce. Voi, invece, l’avete fatto. Scientificamente. Per tutta la trasmissione. A cominciare da Ruotolo che esordisce lasciando microfono libero a un uomo esasperato che insulta le divise. E poi la bottiglietta d’acqua e altri lamenti. E poi la piccola teoria degli schizzi di fango. E poi la presidente della Provincia che se la prende con le istituzioni (e lei che cos’è signora, mi scusi?). E poi il suo sarcasmo, dottor Santoro, fra Kgb, caschi e altre cose che voleva mettersi in testa (a mettersi un po’ di buon senso, ci ha mai pensato?). E, infine, soprattutto la ciliegina sulla monnezza, cioè le spaventose vignette di Vauro, dove si ironizzava sulla cubatura dei cimiteri, l’ampliamento edilizio delle bare e, ancora, la ridicolaggine dei soccorritori. Lasciamo da parte i malinconici dettagli: Travaglio che legge (per altro con inesattezze) verbali da questurino di provincia e il magistrato candidato De Magistris, investito ufficialmente del ruolo di censore dei furbetti (avete capito bene: il furbetto dei Valori eletto a simbolo di censore dei furbetti, che è un po’ come fare tenere ad Adriano un corso contro l’alcolismo). Lasciamo da parte i malinconici dettagli, non restano che le fregnacce. E che sono fregnacce lo sa anche lei, caro onorevole Santoro. Per tutta la settimana, nei colloqui con i suoi collaboratori, mi è stato detto che trovava sciocco insistere sulla prevedibilità dei terremoti, sulla cassandra Giuliani, sulla questione dell’emergenza, perché il vero problema è quello edilizio. Sacrosanto. Il vero problema è che in Italia ci sono 7 milioni di case a rischio, di cui 80mila sono edifici pubblici. Il vero problema è quell’ospedale dell’Aquila inaugurato nel 2000, dopo vent’anni di lavori, e che ora è inagibile. Il vero problema è il decreto del 2004 che prevedeva costruzioni antisismiche e che è sempre stato rinviato. Il vero problema è che occorre una grande opera di rottamazione edilizia e di ricostruzione. Questo è il punto. Voi lo sapevate benissimo. Dietro le quinte se ne conveniva. E allora perché, invece, avete messo in scena solo un vergognoso processo alla Protezione civile? Forse perché il problema delle case costruite male non può essere addossato in nessun modo a Berlusconi? Forse perché vi siete accorti che, anzi, il piano casa appena varato andava proprio nella direzione dell’auspicato rinnovamento edilizio? Forse perché il ritardo delle norme antisismiche non è colpa di un sottosegretario del vituperato centrodestra, ma di una cultura del Paese che riguarda tutti? Forse perché il primo a firmare quel rinvio è stato proprio Antonio Di Pietro, nume tutelare del furbetto anti-furbetti De Magistris? Dev’essere così, è chiaro. Ma il risultato è vergognoso. Noi speravamo di parlare dei problemi seri. Su questo giornale l’abbiamo fatto, fin dal primo giorno, senza nascondere nulla, con dati e cifre, denunce e accuse fondate su abusi e inadempienze nelle costruzioni. Voi invece avete preferito affidarvi alle beghe da cortile, avete ritirato fuori la madonna del radon, l’autodidatta Giuliani, avete mestato nel torbido raccolto sul fondo della disperazione con un unico scopo: mettere nel frullatore chi da cinque giorni lavora, rischiando la vita e senza risparmiare energia, per ridare speranza all’Abruzzo. Mi chiedo perché, caro onorevole Santoro. Mi chiedo a che serva. Visto che all’inizio della trasmissione faceva nobilmente appello al Paese che vogliamo lasciare ai nostri figli, ecco, le chiedo se davvero lei vuole lasciare ai suoi figli un Paese così, in cui nemmeno di fronte a 290 morti si trova la forza di mettere da parte i biechi interessi della politica di giornata. Se davvero vuole lasciare ai suoi figli un Paese in cui si irridono i volontari, magari solo perché vestono una divisa (si capisce la divisa non fa chic come l’orecchino e il jeans strappato...). Se davvero vuole lasciare ai suoi figli un Paese in cui di fronte all’emergenza ci si continui a sentire uomini di parte prima che uomini. Avevamo avuto una speranza nei giorni scorsi. Avevamo visto un clima diverso. Avevamo trovato commenti per una volta sensati a destra e a sinistra, avevamo trovato persone capaci di capire che il dolore e la sofferenza, pensi un po’ Santoro, contano persino più dell’essere berlusconiani o antiberlusconiani. Avevamo sperato che di qui potesse nascere un’Italia più civile. Avevamo sperato. Poi sono arrivati Vauro, le vignette e la sua bottiglietta d’acqua. Che meschinità."

Fast & Furious 4

Il 10 aprile è uscito al cinema



Sempre più tamarro!



Ci sono tutti i protagonisti del primo episodio della serie

Uccooooooooo

Lunedì sul lago, quando c'era il sole, si crepava di caldo.
Passano tre giorni .... "e so nèf" (cit.)


Beccatevi stamattina in paese a Ponte e
la super fioccata in Tonale (dove c'erano -4°C):




giovedì, aprile 16, 2009

"Tomba mi fa una pippa"

Guardiamo quanti ne riconoscete...

mercoledì, aprile 15, 2009

MATERIA INAFFERRABILE

visto che già una volta ho cercato di portarvi a vedere un'istallazione luminosa di una mia compagnia del liceo...senza trovarla...ci riprovo!

installazioni d'arte contemporanea a cura di Giampietro Guiotto Comune di Pisogne (Bs),
18 aprile – 10 maggio 2009, inaugurazione ore 17.30

Comunicato stampa

Il 18 aprile alle ore 17.30 si inaugurerà la mostra d’installazione d’arte contemporanea “Materia Inafferrabile” organizzata dal Comune di Pisogne (Bs) e curata da Giampietro Guiotto.Il percorso espositivo coinvolgerà tutto il paese, dalla Torre del Vescovo, alle piazze fino il lungolago attraverso installazioni di 6 artisti emergenti e una mostra di fotografia collocata presso la Sala Puda.Oltre ad un’installazione luminosa visibile solo di notte, la mostra accoglie le mucche da collezione di Forge Monchieri.La mostra è visitabile fino il 10 maggio 2009Artisti: Angelo Bordonari, Laura Agnello Modica, le mucche da collezione di Forge Monchieri, Resi Girardello, Ausilia Scalvinoni, Zizioli + Lorenzini.

Percorso mostra

Lungo Lago:Angelo Bordonari - Frammenti di desideri irraggiungibili, sculture sospese e cadute dal cielo..
Torre del Vescovo e sulle acque del Lago - Laura Agnello Modica - Frammenti di corpo in vetroresina, pagine di pelle in cui è scritta la vita delle streghe e la loro storia.
Piazza centrale e lungo Lago Le mucche da collezione di Forge Monchieri - Le mucche vanno in transumanza artistica: colore e ricordi di un mondo contadino, antico e scomparso.
Sala Puda: Ausilia Scalvinoni – Fotografie di margherite senza materia, che continuano a danzare e a inneggiare all’amore.Piazza del molo: Resi Girardello – “Castello in aria” fatto di fili di rame e ferro, inconsistente, pericolante e meraviglioso come il Palazzo del Piccolo Principe.
Acque del Lago:Zizioli +Lorenzini – Scritta luminosa visibile solo di notte all’interno delle acque del Lago. “Aspettando la grande onda” è uno slogan preso a prestito dai mass media, una speranza che dal Lago giunga l’inatteso.


Testi da catalogo a cura di Giampietro Guiotto, di cui si dà un estratto:

CHIARA ZIZIOLI + ALESSANDRO LORENZINI
Zizioli + Lorenzini sembrano lavorare nell’ambito della pubblicità e degli slogan, quindi si presume che essi conoscano bene il valore della comunicazione visiva e la menzogna legata al lavoro pubblicitario. Nella loro proposta realisticamente possibile di un fascio di luce esclusivamente notturna che proietta la frase “Aspettando la grande onda” essi producono l’irrealtà del pensiero, provocano nello spettatore un senso di disagio o di sconcerto fino a lasciarlo nell’attesa irreale di qualcosa che potrebbe avverarsi. L’opera prende di mira innanzitutto qualsiasi modalità visiva compresa l’arte stessa perché la vera rappresentazione è linguaggio convenzionale esattamente come lo è la parola e l’immagine. Gli artisti, nel mostrarci dunque il ragionamento semiotico e non l’emozione relativa ad esso, ammettono l’irrealtà della loro opera, intesa come idea disegnata che non coincide con la realtà. Essi affermano la non verità e lo scollamento nei riguardi del mondo reale. Si scopre che il linguaggio verbale non è naturalistico ma costruzione mentale di realtà espressa attraverso il codice della lingua. Certo, folgorati da questa verità, ci si presenta un lato oscuro della condizione nella quale noi la riconosciamo.Ma un’arte senza immagini è ancora definibile come arte? Trans-arte, forse, poiché in essa l’opera si colloca e sta dove non c’è opera, aprendo completamente alla socialità e alla semiotica, alla politica e all’ermeneutica. E’ la realtà, dunque, a essere carica di non-senso, oppure essa si dispiega in ordinata naturalità e siamo noi con i nostri sensi, ragione, fantasia e regole linguistiche e mentali che sconvolgiamo la logica naturale fino ad inventarla? Questo rimane il mistero e il dubbio promosso dai due artisti Zizioli + Lorenzini, la parte nascosta della realtà e del nostro essere che ci è ignoto.

ANGELO BORDONARI
La scultura dell’artista Angelo Bordonari si presenta spezzata, manchevole, frammentata, ma rimanda subito alla pienezza della forma nascosta e allusa, come si trattasse di un’installazione di forma classica, finita nei suoi angoli più remoti. Così in “Inevitabilità” la grande ala spezzata si prolunga a terra inerme; essa porta con sé un piccolo e vuoto nido d’uccello, che segna l’attesa dell’ospite ormai volato lontano, a significare la necessità della morte come l’attesa della vita. L’intensa luce che emana dall’opera è coglibile come luce spirituale dell’intero universo, a suggerirci che l’artista non ci ammannisce un discorso intorno al cosmo, ma che ci ricorda come noi stessi dimentichiamo di essere mortali, nonostante morte e vita siano inevitabilmente presenti nella nostra vita. Insomma, l’arte può aiutarci a vedere ciò che non è palese e immediatamente visibile, a “Vedere attraverso il cuore della luce”, come l’artista esplicita in un’altra opera, due grandi labbra sospese e diafane alla riva del Lago tra due enormi alberi in fioritura. Esse non si incontreranno mai, ma, nella loro perseveranza impossibile, rivelano l’attesa possibile e il contatto impossibile, la possibilità dell’Essere eternamente teso verso l’Altro o l’ignoto che non conosce. Il frammento diventa metafora dell’Essere riconoscibile nell’unità del cosmo, entità vagante alla ricerca di Sé attraverso l’Altro, amore o attesa di qualcuno che venga a completare la felicità e si avveri l’incontro.

RESI GIRARDELLO
In questo sconfinamento dei linguaggi artistici nel quale sembra inutile distinguere le varie arti, s’inserisce il lavoro “Castello in aria” di Resi Girardello, costruito interamente da fili di ferro e rame e da lamine metalliche. La solidità della struttura architettonica, tradotta in pareti perforate dal disegno a maglia metallica, allude ad un piccolo castello fiabesco tridimensionale parzialmente coperto da smalti metallizzati e argentati, che ripercorrono con il loro cromatismo sintetico l’intelaiatura dell’installazione. Nella rivisitazione fantastica dell’architettura classica, l’artista riperimetra con fili metallici i contorni di porte, finestre, guglie, torri e rosoni, per poi unificarli e trasformarli in forme del vuoto e in profili architettonici, e dunque del pensiero libero, semplice, infantile e poetico, che mette in ridicolo la funzionalità e la monumentalità di tutte le architetture della storia. L’arte di Resi Girardello, vicina a quella del ricamo o del ferro battuto, diventa elegante e colta, attenta e precisa, semplice e naturale in quanto legata alla manualità artigianale antica, che interpreta il materiale e traduce la propria soggettività in atto creativo. I suoi castelli, come altre installazioni, liberati dalla costrizione della materia, dal peso scultoreo o architettonico, richiamano nelle strutture soltanto la forma originaria, ma, nell’eleganza e nella preziosità degli intrecci dei fili ferrosi, l’opera appare un grande e prezioso gioiello. L’artista consegna, così, alla povertà del filo di ferro o del rame un prezioso valore, che eleva ad una nuova dignità e inaspettata eleganza.

LAURA AGNELLO MODICA

Il corpo per Laura Agnello Modica è un insieme di elementi metafisici e corporei costituito da riflesso, ombra, impronta, pelle, specchio, fotografia e, infine, parole. Il riflesso non è il reale, ma ha l’aspetto del reale. Per questo motivo ci confonde. Nel caso dell’ombra e dell’impronta, l’uomo sente una stretta connessione con il corpo, come un sintomo di appartenenza. L’impronta possiede, a differenza del riflesso e dell’ombra con cui è in forte affinità, una materialità che è un’oggettivazione dell’Io, o, meglio, del corpo che lo rappresenta. La pelle ha una funzione eminentemente protettiva, ma nel contempo è mezzo di comunicazione tra l’in sé - per sé e il mondo, predisposta a modificarsi seguendo forze interne ed esterne che entrano in contatto con essa. Essa è confine e soglia dell’Io, è sicura testimone del mondo psichico, romanzo visivo in cui si scrive la vita. Con questi parametri filosofici Laura Agnello Modica penetra l’universo storico lentamente, lo setaccia e lo scompone quasi scrivendoci sopra, incidendolo e manifestandolo. In questa sorta di comunicazione complessa, l’artista traduce il corpo in frammenti leggeri in vetroresina, galleggianti sul Lago e appesi all’interno dell’alta torre pisognese in pagine scombinate di pelle in vetroresina e in fogli A4, che raccontano la storia del mondo e le percezioni dell’uomo. Così, per la storia di Valcamonica e della sua prima terra, Pisogne, Agnello Modica percorre d’un balzo le vicende della signoria vescovile del Trecento e la gente sottomessa, ma ribelle e vigile che vi si rapportava; continua, poi, nell’ultimo Quattrocento e nei primi anni del Cinquecento, per cogliere artisticamente l’avvento di streghe e stregoni come segno inconfondibile di una ribellione di massa divenuta inesauribile, ma anche inestricabile, con il sacrificio del corpo eretico bruciato dagli inquisitori, come se si fosse trattato di una radicale e terribile scarificazione tribale.

AUSILIA SCALVINONI

Le margherite di Ausilia Scalvinoni sono forme che approdano ad un’ampia riflessione filosofica, occidentale e orientale. Lo sviluppo digitale che ha permesso l’inversione del bianco e nero, quasi a farlo sembrare un negativo fotografico, insegue le forme, fino a illuminarle da dentro e far trasparire la loro essenza in bilico tra materia e spirito.Il colore, inteso come involucro emotivo della forma, scompare, per alludere alla forma primigenia, all’illuminazione di quell’istante in cui la forma è evanescente. Nei grigi e nei neri abissali, i loro steli si inclinano, la compostezza delle loro corolle si sfascia, mentre l’ultima parvenza di petalo sfoglia e ondeggia. Nel loro dinamismo di linee e movimenti sinuosi, si cristallizza la visione della fugacità dell’attimo, l’emersione dell’oscurità che cerca la luce, il desidero di sottrarsi all’abisso metafisico e impalpabile del mondo, la volontà di librarsi là dove il nulla incontra il vuoto. La loro esistenza e la loro vitalità di margherite si annullano per assumere le forme dell’inquietudine, della precipitazione, dello spreco di energie, dell’impazienza verso l’ignoto. Come ogni fiore, esse si scoprono prive di importanza nella pienezza cosmica. Pertanto, il nostro sguardo deve agire con delicatezza e tenerezza. La fotografia di Ausilia Scalvinoni ci parla, così, di luce e oscurità, di dinamismo e immobilità, di silenzio e incomunicabilità, di vita e morte. La materia è destinata a perdere la forma, ma negli ultimi movimenti di vitalità riecheggia l’inno all’amore, la danza nel silenzio e nel vuoto, nella trasparenza dell’aria e nella profondità dell’acqua che ci riconduce al fiume eterno: essenze floreali al limite estremo della semplificazione, entità alla ricerca di una danza che corrisponda al ritmo delle pulsazioni del loro spirito vitale, emanazioni di luce e riverberi di natura che si estendono all’infinito.

MUCCHE DA COLLEZIONE DI FORGE MONCHIERI/
Mucche in transumanza Se qualcuno fosse tentato di acquistare le mucche da collezione di Forge Monchieri per collocarle nel proprio giardino, rimarrebbe frustrato, perché queste opere d’arte non sono vendibili e nemmeno riproducibili. Nate come oggetti ideali e visualizzazione di un mondo agricolo ormai scomparso, le mucche dell’Azienda del Cav. Gianfranco Monchieri suscitano la nostalgia e la visione concreta di un territorio amato, l’ambiguità tra irrealtà e realtà del visibile. Nella parvenza di sculture oggettuali, esse vorrebbero mimare (o ridicolizzare?) l’arte concettuale e la bellezza del processo mentale dell’artista necessario alla costruzione dell’opera, ma, nella loro nuda oggettività, esse ammettono di non conoscere l’artista che le ha create e, quindi, nemmeno l’idea prima che le ha generate.In questo momento esse subiscono, però, una dislocazione temporale, una sorta di transumanza artistica dal luogo loro consueto, che è il parco dell’Azienda Forge Monchieri, alla piazza e lungolago di Pisogne, per partecipare ad un’esposizione d’installazione d’arte contemporanea. Decontestualizzate dal luogo originario, esse diventano ora, grazie al godimento visivo e al consenso del pubblico, inedite opere d’arte che generano nuove percezioni sensibili e riflessioni sul senso del vivere, temporanea visione di un mondo assurdo ed enigmatico, ma anche gioioso.Nella loro irrealtà, esse diventano pensiero invisibile, come il dolore e il piacere, direbbe Magritte. Esse rappresentano in modo non più illusorio quello che è scomparso, la vita contadina e lo spazio della natura disintegrata dall’uomo. Un tempo, nel colore del manto delle autentiche mucche nere a chiazze bianche si stendeva, forse, un cielo tempestoso percorso da limpidissime nuvole bianche, mentre ora, grazie alla trasmutazione dell’arte, compaiono cieli azzurri, soli, lune e colori sgargiantI.

Anche il Vex fa così!!!

martedì, aprile 14, 2009

HOMO CALVUS



Riassumendo...

Gli "amici" del Vex

Palazzolo invasa per il «rave-party» nell'ex cotonificio

Miglia di giovani hanno invaso per tre giorni la valle dell'Oglio. Giovani e musica a tutto volume, protagonisti del rave-party non autorizzato - ma sorvegliato speciale 24 ore su 24 dalle Forze dell'ordine - nell'ex cotonificio Ferrari, che ha scosso a partire da venerdì notte la quiete della Sgraffigna di Palazzolo.

La manifestazione ha calamitato nella vecchia e abbandonata fabbrica in riva all'Oglio qualcosa come quattromila persone, provenienti da mezza Europa. I quartieri della Sgraffigna e di San Giuseppe, lungo la striscia d'asfalto che sale alla frazione di San Pancrazio, si sono trovati per tre giorni sotto l'assedio di auto e camper posteggiati ovunque, sporcizia disseminata lungo le strade e nelle aree di sosta. Non sono mancati momenti di tensione fra alcuni residenti e giovani arrivati da ogni angolo d'Italia e da Germania, Francia, Austria, Belgio, Gran Bretagna e Polonia per partecipare a quello che era un rave-party d'eccellenza, organizzato a livello europeo con musica dal vivo (una dozzina i gruppi che si sono esibiti, giorno e notte, nei capannoni in ferro e mattoni) e richiami che correvano celermente in Rete e via sms.

La diplomazia e l'esperienza delle forze di polizia hanno però evitato - al di là dei comprensibili disagi per i residenti e della sporcizia - qualsiasi incidente o particolari atti vandalici. Anche se tutto è filato liscio sul fronte della sicurezza a Palazzolo sono scoppiate violente polemiche. Le quali sostanzialmente ruotano attorno al grande rave-party non autorizzato con tutte le conseguenze per il popoloso quartiere, ma ancor prima all'ex cotonificio Ferrari, da anni abbandonato e in forte degrado già meta di raduni musicali "clandestini".


13 aprile 2009
da giornaledibrescia.it

Ecco qui la fotogallery:
http://www.giornaledibrescia.it/fotogallery/?idGallery=214

L'INTERRUZIONE È IL MESSAGGIO

Per chi si trova spesso a parlare con un interlocutore che mette sempre gli occhi sul cellulare distraendosi e ti interrompe ogni due secondi, per chi si ferma fino alle 20.00 al lavoro perchè sono proprio le ultime ore della giornata quelle che rendono... leggete questo articolo tutto d'un fiato e senza interruzioni se ci riuscite...

I segnali si moltiplicano. La connessione sempre e dovunque - via cellulare, mail, sms - sta superando il livello di guardia. Il lamento è sempre più frequente. Non esiste conversazione che non sia spezzata dall'arrivo di un nuovo messaggio. Non esiste un momento di dialogo esente da squilli di telefonino. Non c'è comunicazione che ottenga la piena attenzione degli interlocutori. Secondo il "New Scientist", la produttività in ufficio è messa seriamente in discussione da un flusso incessante di segnali che tentano di raggiungere chi lavora con ogni mezzo, fisico e digitale. Thomas Friedman, editorialista del "New York Times", ha persino proposto una visione epocale: dopo l'epoca dell'informazione, oggi siamo entrati nell'"era dell'interruzione".

Victor Gonzáles e Gloria Mark, ricercatori all'università di California, Irvine, hanno condotto uno studio dedicato alla multidimensionalità dell'attività di comunicazione in ufficio. Di fatto si è trattato di seguire una serie di giornate di lavoro e registrare le diverse forme di interazione degli impiegati con interlocutori esterni e interni, via mail, telefono, messaggistica, riunioni fisiche e in videoconferenza. Mark ha osservato che in media il lavoro è interrotto una volta ogni tre minuti. Si direbbe che per portare a termine un compito che richieda attenzione e concentrazione occorra lavorare alla mattina presto, la sera tardi o nel weekend.

Ma il problema non è solo l'interruzione. Perché questo potrebbe essere risolto con l'organizzazione: per esempio, cercando di spezzettare in segmenti di tempo molto brevi tutte le forme di comunicazione. Oppure evitando di tener conto dei nuovi interlocutori che si presentano prima di aver concluso la conversazione in atto. In realtà, il fenomeno più grave è che ogni singola comunicazione viene svolta mentre si gestisce l'arrivo di un'altra. Spesso, addirittura, si tengono più comunicazioni contemporaneamente.

La tecnologia ha creato questa situazione moltiplicando le forme di accesso e di connessione. L'etichetta di ogni forma di comunicazione, peraltro, prevede la sua specifica norma di comportamento: una risposta a una mail o a un sms è obbligatoria, anche se non necessariamente immediata; una persona che bussa alla porta o che entra in ufficio si deve ascoltare al più presto; una chiamata si prende subito, anche quando si ha davanti qualcuno. I soli a poter vivere relativamente tranquilli sono coloro che possono contare sul lavoro di un assistente che gestisca almeno le chiamate. Ne emerge che la tecnologia deve trovare il modo di automatizzare lo smistamento delle chiamate e organizzare le forme di connessione per la gran parte degli impiegati in modo analogo a quello che riescono a fare gli assistenti dei grandi capi aziendali.

L'integrazione delle forme di messaggistica è una delle linee di ricerca e sviluppo di molte di aziende, dall'Ibm alla Nortel, dalla Cisco alla Microsoft, che tra l'altro ha appena annunciato l'avvio di uno sviluppo in comune con Motorola per lavorare su questo tema. Impossibile ricordare tutte le iniziative in questo senso. Di certo è un bene che siano in molti a pensarci: perché si tratta di un bisogno vero.

A proposito: questo articolo è stato anche un esperimento. Quante interruzioni si sono inserite nel tempo richiesto dalla scrittura di questo pezzo? Ho tenuto il conto. E il numero è 39. Più di una ogni tre minuti. Gonzáles e Mark hanno ragione.

Morale. Il tempo lineare è assediato dal tempo caotico.

Il tempo lineare era adatto agli orari di lavoro e tempo libero della società industriale. Il tempo caotico è quello della società dell'informazione, nella quale siamo immersi in ogni momento della giornata.

Ma a questo proposito: il tempo dell'utilità deve lasciare il posto al tempo dell'esperienza.

Al posto del tempo libero, destinato al consumo, vorrei il tempo da liberare destinato alle relazioni con gli altri, l'ambiente, la cultura. Il tempo delle relazioni gratuite.

Luca De Biase (http://blog.debiase.com/2006/10/15.html#a966)

Pasqua 2009


"Crede in Dio?"
"No, credo negli uomini, che ognuno faccia la sua parte con onestà".
TERESA STRADA

lunedì, aprile 13, 2009

Compleanni del giorno



AUGURI CICCIO!!!




AUGURI PAOLA M!!!!

domenica, aprile 12, 2009

Compleanno del giorno


AUGURI SPAPPI!!!!