Sì, Berlusconi si sta rivelando un pessimo presidente del Consiglio, non si sa come mandarlo via e di fronte alla crisi economica il governo si è mostrato di una pochezza e una goffaggine uniche. Sì, l'opposizione riesce solo a balbettare ma non è capace di nessuna proposta alternativa seria. Sì, la maggioranza è spaccata e l'opposizione è divisa. E per finire c'è l'abominevole casta che tutti ci sentiamo così bravi e onesti a detestare. È tutto vero, sì, l'Italia è tutto questo.
Ma chi cerca di non fermarsi alla superficie sa che nessuno di quelli ora detti è il problema vero del Paese.
Il problema vero, profondo, strutturale dell'Italia sta altrove. Sta nell'esistenza di un immane blocco sociale conservatore il cui obiettivo è la sopravvivenza e l'immobilità. Nulla deve cambiare. È questo il macigno che ci schiaccia e oscura il nostro futuro. Il blocco conservatore-immobilista italiano è un aggregato variegatissimo. Ne fanno parte ceti professionali vasti e ferreamente organizzati intorno ai rispettivi ordini, gli statali sindacalizzati, gli alti burocrati collegati con la politica, i commercianti evasori, i pensionati nel fiore degli anni, i finti invalidi, gli addetti a un ordine giudiziario intoccabile, i tassisti a numero chiuso, i farmacisti contingentati, i concessionari pubblici a tariffe di favore, il milione circa di precari organizzati, gli impiegati e gli amministratori parassitari delle spa degli enti locali, gli imprenditori in nero, i cooperatori fiscalmente privilegiati, i patiti delle feste nazionali, i nostalgici della contrattazione collettiva sempre e comunque, le schiere di elusori fiscali, gli imprenditori in nero, gli aspiranti a ope legis e a condoni, quelli che non vogliono che nel loro territorio ci sia una discarica, una linea Tav, una centrale termica, nucleare o che altro. E così via per infiniti altri segmenti sociali, per mille altri settori ed ambiti del Paese. In totale, una massa imponente di elettorato.
Un elettorato ormai drogato, abituato a trarre la vita, o a sperare il proprio avvenire, dal piccolo o grande privilegio, dall'eccezione, dalla propria singola, particolare condizione di favore. Avendo scritto un paio di settimane fa che abbiamo bisogno di una politica capace di parlare «con verità», Emanuele Severino - con tipico massimalismo filosofico, me lo lasci dire - mi ha chiesto polemicamente «che cosa significhi verità». Ecco, caro Severino, significa per esempio una politica capace di dire le cose banali ma vere di cui sopra, di dire questa verità, che la società italiana è questa qui. Invece tra la politica e il blocco conservatore-immobilista si è da tempo stabilito un rapporto di assoluta complicità.
Forte della debolezza della politica, delle sue pessime prove, sempre più spesso la società italiana sembra non voler riconoscere più alcun potere di direzione alla politica stessa, ma di cercarne solo l'appoggio necessario per la sua sopravvivenza spicciola. E domani capiti quel che può capitare. Essa si muove in questa ricerca con consumata spregiudicatezza, tanto a destra come a sinistra, utilizzando per i propri interessi tutto l'arco della rappresentanza parlamentare.
Ogni gruppo sociale appena importante, ogni interesse e segmento professionale sa di poter contare sui suoi deputati e senatori di riferimento (particolarmente rilevante il caso dei magistrati e degli avvocati che hanno a disposizione un vero e proprio partito ombra), i quali intervengono puntualmente a difendere i propri tutelati contro la destra, contro la sinistra, contro tutti. Come si è visto drammaticamente proprio in queste settimane: quando il governo, la maggioranza, e in modo solo meno diretto anche l'opposizione, si sono mostrati incapaci di esprimere indirizzi rapidi, incisivi e coerenti, di sostenere scelte dure, perché di fatto totalmente in balia del blocco conservatore-immobilista, perché ricattati e minacciati dai milioni e milioni di cittadini impegnati allo spasimo perché tutto resti com'è.
In Italia non sembra più ormai possibile fare nulla, cambiare nulla, perché c'è sempre qualcuno dotato di un potere d'interdizione che dice di no. Anche per questo siamo un Paese che dà sempre di più l'impressione soffocante di un Paese vecchio, immobile, paralizzato. Dove perfino i discorsi, i pensieri, le conversazioni si susseguono sempre eguali. Un Paese prigioniero del suo passato, nel quale troppi hanno costruito la propria esistenza sfruttando rendite di posizione, contingenze favorevoli irrepetibili, trincerandosi in ben muniti fortini corporativi. Un Paese che fino a ieri poteva forse credere di essere una sicura Fortezza Bastiani, ma che oggi, quando il tempo dei barbari è forse arrivato, assomiglia sempre di più a un disperato Forte Alamo.
Ernesto Galli della LoggiaDA www.corriere.it