J – Of course you will. Just not any soon.
Dice Smeriglia infatti:
DEATH IS NOW!
Non dico che la morte metta allegria, dico solo che la paura è il sentimento sbagliato. Tristezza angoscia sconforto, okay. Paura, no.
Si ha paura di qualcosa di spiacevole che può succedere, ma la morte è qualcosa di spiacevole che succederà sicuramente. Anzi, la morte è già successa, perché non va vista come un evento sfortunato che mette fine alla vita, ma come il fatto stesso che la vita abbia una fine. Quindi avere paura della morte significa avere paura che la vita non sia eterna, cioè significa essere matti o smemorati. Capisco che i preti e Rai Fiction tendano a confondere un po’ le idee, ma ci si può veramente dimenticare una cosa del genere?
No.
Infatti le persone non si sono dimenticate che devono morire, non l’hanno proprio mai saputo. Ci si ricorda il primo giorno di scuola, la prima comunione o il giorno in cui si è capito come nascono i bambini (io ero indeciso se piangere o vomitare), ma non il giorno in cui si è scoperto che si deve morire. Quel giorno non esiste. Per questo uno si dispera quando il medico gli annuncia che gli resta qualche mese di vita, quello che fa disperare non è il “qualche mese”, ma il “resta”.
Qualcosa non va, dottore?
Purtroppo lei morirà.
Moricosa?
Morirà.
Si spieghi meglio.
Le restano solo cinquant’anni di vita.
No!
È colpa del concepimento, se si fosse potuto evitarlo...
Vivere con la paura della morte significa vivere nell’illusione che si possa evitarla. Questo è il senso del funerale: celebrare un evento straordinario che si poteva evitare. Sembra che la morte sia sempre un incidente, alcuni sono sconvolti, altri (la maggior parte) pensano “uh, l’ho scampata bella!”. E invece no, non l’hai scampata per niente. Anche tu stai morendo. Adesso.
Anche chi ammazza qualcuno pensando di fargli del male è uno che s’illude che la morte si possa evitare. Per punire veramente qualcuno bisogna farlo vivere male, non farlo smettere di vivere, primo perché nessun morto ha modo di dispiacersi della propria morte, secondo perché prima o poi sarebbe morto lo stesso. Se uccidi uno fai del male solo ai suoi parenti e ai suoi amici, cioè a chi non c’entra niente. Questo è il motivo per cui uccidere è un’ingiustizia (si manca il bersaglio), non perché la vita sia un valore, un diritto o un croissant all’albicocca.
Lo stesso vale anche per chi augura la morte a qualcun altro, che è un po’ come augurare di sbattere le palpebre o di secernere saliva.
Guarda dove vai, stronzo!
Sono sulle strisce, imbecille!
Strisce un paio di palle!
Vaffanculo!
Secerni saliva!
Quando uno ti dice “crepa!”, l’unica risposta possibile è “sì, lo so”.
Si può avere paura dell’agonia finale, infatti si può sperare di evitarla (preti permettendo), ma non si può avere paura della morte.
Della morte può avere paura solo chi è immortale.