Mamma Bet ti dedica....
sabato, settembre 18, 2010
venerdì, settembre 17, 2010
INARCASSA - mav settembre
finalmente una BELLA NOTIZIA!
abbiam già parlato del nuovo statuto di Inarcassa con le nuove tariffe da salasso...
( per chi se li è persi.... post 1 , post 2, post 3 )
bon, l'unica cosa positiva è che hanno portato il regime agevolato (cioè, si paga la metà) da 3 a 5anni quindi...
tutti noi (o quasi) NON dobbiam pagar il MAV di settembre!!
spiego meglio:
tutti abbiam pagato a giugno la prima rata del 2010 pari a 846 euro, ed in teoria dovevam pagar la seconda rata a fine settembre (credo di 900euro).
Invece a chi è iscritto al QUARTO ANNO (cioè dal 2007) o al QUINTO ANNO (cioè dal 2006) non arriverà la seconda rata in quanto con quella di giugno siam già a posto (in realtà siamo a credito!!!) e pagheremo "solo" il conguaglio al 31dicembre!
Per sicurezza chiamate lo 06 - 85274330
e comunque basta controllar il vostro profilo su inarcassa-online (vi loggate, in alto a sinistra andate in "Estratto conti- soggettivo / integrativo" e noterete che avete un saldo positivo!!!)
Il "casino" è nato dal fatto che hanno approvato lo statuto nel corso del 2010 e quindi la prima rata è stata mandata "piena" a tutti (anche a quelli del quarto e quinto anno).
giovedì, settembre 16, 2010
La lettera del giudice Ayala
Cosa nostra è cambiata
molte scorte sono inutili
Il tasto è delicato, lo so. Ma lo affronto lo stesso. Le scorte che notiamo al seguito di magistrati e uomini politici rispondono ad un'esigenza reale, o non sono altro che residui di un'epoca per fortuna alle nostre spalle? Propendo decisamente per la seconda ipotesi. Il primo ad essere scortato a Palermo fu Giovanni Falcone. Eravamo agli albori degli anni ottanta. Cosa Nostra aveva inaugurato una nuova strategia, quella di contrapporsi militarmente allo Stato uccidendone i servitori che, con il loro operato, ostacolavano gli interessi mafiosi. Erano stati vilmente trucidati, tra gli altri, Boris Giuliano, il colonnello Russo, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, il procuratore della Repubblica Gaetano Costa. Ed anche un giornalista, Mario Francese.
L'allarme era più che giustificato. In quegli anni nasceva il pool antimafia. Il rischio che correvano i suoi componenti fu ritenuto assai elevato. A tutti venne, perciò, assegnata una scorta. Ne so qualcosa. Ne seguirono altre. Cosa Nostra, infatti, continuava a seminare morte.
Pio La Torre e Rosario Di Salvo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo, Rocco Chinnici, i due carabinieri Trapassi e Bartolotta, il portiere del palazzo Li Sacchi, ed altri ancora. In quel drammatico contesto storico la protezione delle vittime potenziali della furia mafiosa era necessaria e doverosa. Lo Stato doveva pur difenderle in qualche modo. Non sempre ci riuscì. Ne sanno qualcosa, per esempio, i familiari di Beppe Montana, Ninni Cassarà e Roberto Antiochia. Siamo nell'estate del 1985. Il 1992 ci ha lasciato due date che non saranno mai dimenticate: il 23 maggio e il 19 luglio.
Da allora è partita una fase completamente diversa. La strategia di Cosa nostra è radicalmente cambiata. La lista dei cosiddetti cadaveri eccellenti non ha avuto più bisogno di aggiornamenti. È una lista bloccata. Le stragi dell'estate 1993 a Roma, Firenze e Milano, infatti, sono anomale quantomeno per due ragioni. Sono state consumate fuori Palermo e hanno provocato vittime inermi che nulla avevano a che fare con le attività mafiose. Riina e Provenzano che conoscono la chiesa di S. Giovanni al Velabro o l'Accademia dei Georgofili è dura da credere. È ragionevole supporre che Cosa nostra non agì da sola. Come in altre tragiche occasioni. Ultime quelle dell'anno precedente. Ma questo è un altro discorso. Comunque sia, il calcolo è facile. Da oltre diciotto anni Cosa Nostra non ammazza più né magistrati, né poliziotti, né uomini politici, né giornalisti. Per fortuna, mi pare superfluo aggiungere.
Mi si darà atto, quindi, che l'attuale contesto storico è ormai del tutto diverso rispetto a quello del tragico passato che ho rievocato. E lo è stabilmente, visto il tempo trascorso. Non è forse, allora, giunto il momento di avviare una responsabile, sia pur graduale, rivisitazione delle scorte in circolazione? È mai possibile che non bastino diciotto anni per indurre chi di dovere a porsi finalmente il problema? Potrebbero cominciare a dare il buon esempio i diretti interessati. Io l'ho fatto. Non è stato facile. Ci provai per la prima volta nel 1998. Già allora avvertivo l'inutilità della scorta.
Provai a liberarmene. L'allora ministro dell'Interno, Giorgio Napolitano, alla fine di un cordialissimo colloquio mi comunicò che me lo potevo levare dalla testa. Con molto garbo mi spiegò anche le valutazioni che gli impedivano di assecondare la mia richiesta. Erano ragionevoli. Mi è andata meglio al secondo tentativo nel 2001. Dopo quasi diciannove anni di vita blindata ho ritrovato la mia libertà. È stata una sensazione talmente forte che continuo piacevolmente a gustarla.
Ma, ancora di più, il problema se lo devono finalmente porre i responsabili delle assegnazioni di scorte e, cioè, tanto per essere chiari, i componenti del Comitato Provinciale per l'ordine e la sicurezza, presieduto dal Prefetto. Non guasterebbe una direttiva del ministro dell'Interno. Sono un uomo di mondo e, in quanto tale, so bene che la revoca della scorta viene vissuta da alcuni destinatari come una sorta di deminutio. Il venir meno di uno status symbol. Negarlo è da ipocriti. Ciò malgrado, mi piace pensare che non sia questa la ragione per cui non si comincia a intervenire. Con prudenza, certo, ma anche con decisione. Il ritardo è già colpevole. In tempi di vacche magre come quelli che viviamo, il recupero di risorse, mezzi e uomini da destinare ad altre finalità istituzionali, magari preminenti, non rientra forse nei doveri di chi è chiamato a servire al meglio le istituzioni?
E poi, diciamocelo con franchezza, ci sono scorte al cospetto delle quali mi è stato chiesto: "Ma a chistu cu l'av'ammazzari?". Confesso di essermi rifugiato nel silenzio. Unica difesa dall'imbarazzo del dileggio. La mafia, purtroppo, è una cosa seria. Può l'antimafia concedersi il lusso di non esserlo? Non vorrei che l'eccessiva cautela possa avere a che fare con talune, episodiche presunte minacce, quali l'invio a qualcuno di buste contenenti proiettili. Suggerisco, in proposito, di indagare sino in fondo per accertare l'identità del mittente ma, soprattutto, di ricordare che né a Falcone, né a Borsellino, a quanto mi risulta, furono mai recapitati analoghi plichi. Intelligenti pauca.
Ricordate : la parola più spirituale nell'esistenza è questa... lasciarsi andare. OSHO
mercoledì, settembre 15, 2010
Terremoto in Friuli
Sono passati 30anni, ma mai come ora l'argomento è attuale: tg&giornali non parlano quasi più de L'Aquila, ma ciò non significa che sia tutto risolto... durante i primi mesi dell'emergenza la reazione dello Stato & tutti gli enti che sono corsi in Abruzzo è stata incredibile! Ora però si è entrati in una fase forse ancora più importante e le scelte che verranno prese avranno ripercussioni per i decenni successivi... il rischio di aver una nuova "Irpinia/Belice" è dietro l'angolo... ed intanto in Abruzzo le scosse continuano...
«Ecumò ce hao di paja?». Così disse la vecchia terremotata, sotto gli occhi di padre David Maria Turoldo. I soccorritori le avevano appena consegnato un paio di coperte e dei viveri e lei voleva sapere: «E adesso cosa devo pagare?». Spiegava il frate poeta che lì c'era il senso di tutto: «Una ricostruzione, per essere vera, perché sia segno di civiltà e abbia un valore, non può essere regalata. Una ricostruzione si paga e basta: allora ha un valore. Una cosa si deve fare con le proprie mani, allora la si ama». Quindi «è bene che non ci sia dato nulla in regalo».
Sia chiaro: non è che lo Stato non abbia fatto la sua parte, dopo la doppia randellata che il sisma diede alle colline delle prealpi carniche il 6 maggio e l'11 settembre del 1976 uccidendo 989 persone alla prima conta più tutti quelli morti nelle settimane seguenti negli ospedali. Anzi, per una volta la macchina pubblica, Stato, Regione, Provincia, Comunità collinare e Comuni furono all' altezza della sfida. Al punto che Italo Calvino si sbilanciò a scrivere che «i responsabili politici lavorarono unitariamente mettendo insieme quei tesori di impegno, di finezza, di pazienza e di moralità che occorrono per il successo di una battaglia politica perché questo era l'imperativo categorico dettato dalla loro coscienza». Senza badare, per una volta, alle tessere di partito.
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Eccolo qui com’è, oggi, il cuore di Gemona. Il Duomo, il palazzetto gentilizio che ospita la ricca cineteca del Friuli, le stradine, le piazzette... Certo, le foto di allora con quegli ammassi di macerie dicono che quasi nulla è davvero «originale». Insomma, la «purezza » delle pietre antiche non è poi così antica. Se chiedi alle persone se avrebbero preferito buttar via tutto e tirar su una new town, però, ti guardano di traverso.
E così a Venzone, dove puoi vedere forse l'espressione migliore di quella filosofia che dominò la ricostruzione: «dov'era, com' era». Dov'era e com'era è il possente muro di cinta, dov'era e com'era è la porta di accesso al borgo, dov'erano e com'erano sono i palazzi allineati lungo la strada principale. Ma soprattutto, bellissimo, dov'era e com'era è il Duomo, che era stato inaugurato nel 1338 da Bertrando di Saint-Geniés, patriarca- guerriero di Aquileia e dopo avere barcollato alla prima botta sismica di maggio, era stato annientato dalla seconda di settembre.
Architetti, restauratori, ingegneri, storici dell’arte ed esperti vari erano tutti d'accordo: danni troppo gravi, impossibile ricostruire. Meglio fare una chiesa nuova. Qualcuno andò oltre, proponendo di coprire il paese intero con una gran cupola di plastica. Mai, dissero gli abitanti. E quando arrivarono le ruspe, sbarrarono loro la strada. E firmarono in massa (630 su 650 adulti) una petizione: com’era e dov’era. La leggenda, raccolta per Epoca da Gualtiero Strano, narra che a un certo punto il sovrintendente tentò di mettere in riga il prete, Giovan Battista Della Bianca: «Lei stia sul suo altare a dire la messa che a fare gli architetti ci pensiamo noi». E quello: «Se siete inefficienti faremo noi anche gli architetti ». Finì che i cittadini recuperarono tutte le pietre del loro Duomo, le caricarono sui furgoni e le carriole e le sparpagliarono in un grande campo: 7.650 pietre. Numerate una ad una grazie alla perizia fatta dopo la prima scossa.
«Ognuna di queste pietre, quando il Duomo fu edificato, costò una giornata di lavoro a un uomo: 7.650 pietre sono 7.650 giorni», spiegò il pievano, «Venti anni di fatiche, sudori, sofferenze non potevano finire in discarica ». Ci misero anni, i venzonesi, ad averla vinta. Ma ora il Duomo è lì. E chissà che rivederlo non abbia salvato delle vite. Le statistiche degli anni seguiti alla catastrofe, infatti, dicono che lo spaesamento tra i sopravvissuti più fragili fu tale da far impennare i suicidi fino a raddoppiare (11,6 contro 5 ogni centomila abitanti) la media nazionale.
Non solo a Gemona, Osoppo o Venzone fu sconfitta la teoria delle new town: «Secondo l'ingegnere autore della prima bozza del piano urbanistico — ricorda l'architetto Luciano Di Sopra, che del «modello Friuli» fu uno dei protagonisti come firmatario del piano di ricostruzione —, il sisma dava l'opportunità di abbandonare le zone danneggiate e trasferire la popolazione lungo l'asse Udine- Pordenone, con una ricostruzione resa più rapida dall'impegno integrale della prefabbricazione edilizia per realizzare nuovi edifici antisismici».
Impugna un libro scritto dopo essersi occupato di varie catastrofi in giro per il mondo compreso inizialmente («ma non facevo parte di nessuna cricca partitica e mi fecero fuori») il sisma in Irpinia. Si intitola Il costo dei terremoti. E’ pieno di cartine: «E’ stata una mania sovietica quella di spostare gli abitanti in new town permanenti—ammicca immaginando l'effetto che può fare a Berlusconi —. E’ il modello Belice. Ecco cosa hanno fatto a Montevago, Salemi, Salaparuta... Per non dire di Gibellina, spostata a una trentina di chilometri di distanza lasciando spazio ad architetti e artisti che avevano in testa modelli di periferie del Nord Europa. Il risultato è lì. Prendete Venzone e Gibellina Nuova. C'è qualcuno che pensa che andasse fatta la scelta siciliana?».
Corsi e ricorsi storici. La stessa scelta era stata fatta nell'isola dopo il terremoto che nel 1693 aveva devastato la Valle di Noto, causato almeno 60 mila morti e raso al suolo 25 centri. Fra i quali Occhiolà, feudo del principe di Butera. Il quale decise di spostare il borgo, di chiamarlo Grammichele e di prendere a modello la fortezza di Palmanova. In Friuli.
«Non ripetiamo il Belice», titolò il Corriere il giorno dopo il terremoto ai piedi della Carnia. Eppure non erano solo gli ingegneri «sviluppisti» a essere perplessi sulla possibilità di restituire la vita a quei paesi. «Non posso dimenticare l'incubo che a quattro mesi dal sisma domina in questa città morta», scriveva ai primi di settembre da Gemona il nostro Alfredo Todisco senza immaginare che giorni dopo sarebbe arrivata la seconda batosta, «Restaurare Gemona sarebbe come restaurare Ercolano o Pompei».
Ma si sa come sono i friulani: teste dure. Lo sa Vienna che, come spiega il professor Salimbeni nella pagina seguente, ebbe modo di assaggiare di che pasta erano fatti nel 1848, in occasione dell'eroica difesa della fortezza di Osoppo, uno degli episodi purtroppo meno noti del Risorgimento. Lo scrisse mezzo secolo fa, spiegando che i canadesi distinguevano gli italiani «in due grandi categorie: quelli del Friuli e gli altri», Gianfranco Piazzesi. Affascinato, lui, toscano di questo «popolo di emigranti plasmati con sapienza dal parroco: fatti apposta dal buon Dio per rifornire la comunità nazionale di muratori, di carabinieri e di domestiche. Un popolo che risolveva molti problemi e non ne creava nessuno».
Decisero di far le cose a modo loro e le fecero. Senza che ancora esistesse, così come la conosciamo oggi, la Protezione civile. Senza le scorciatoie emergenziali che oggi sono ritenute assolutamente indispensabili. Senza esibizioni muscolari. Senza l'alone mistico di uomini della Provvidenza. Bastò il buon senso e l'efficienza di Giuseppe Zambeletti, il sottosegretario che forse avrebbe potuto dare di più a questo Paese se non lo avessero fatto fuori alla prima occasione. Bastò la saggia decisione andreottiana di delegare il più possibile alla Regione e ai Comuni. Bastò una netta divisione dei compiti settore per settore. Bastò la collaborazione (questa sì una fortuna irripetibile) di quei 57mila militari che in quegli anni in cui c’era ancora la Cortina di ferro erano acquartierati nelle caserme a ridosso della frontiera jugoslava.
Determinante, certo, fu lo spirito dei friulani. Basti ricordare quanto disse anni fa l'allora presidente regionale, il dc Antonio Comelli: «Prima pensammo alle fabbriche, al lavoro, alla produzione. Poi alle case. Ricordo ad esempio che l'anno dopo il terremoto prelevammo 300 o 350 miliardi dal fondo per la ricostruzione per l'autostrada Udine-Tarvisio che era arrivata solo fino a Gemona. La gente era ancora nelle baracche. Pensammo: è giusto farlo, ma questa è la volta che ci linciano. E invece la gente capì: occorreva ripartire abbinando ricostruzione e sviluppo». Una scelta difficile, ma compresa: «Molti rinunciarono ai contributi statali. Chi aveva un danno non troppo grave si vergognava un po' a chiedere soldi che magari servivano da altre parti». Il contrario di quanto sarebbe accaduto pochi anni dopo in Irpinia con l'allargamento dei comuni colpiti: alla prima conta 36, all'ultima 687. A un certo punto il Gazzettino confrontò le due catastrofi. Itinerari opposti: fatti 100 i finanziamenti al momento del disastro, sette anni dopo gli stanziamenti per Gemona o Buja erano ridotti a 38, quelli per Sant’Angelo dei Lombardi o Nusco erano saliti a 132.
Di soldi dallo Stato, comunque, anche in Friuli, ne arrivarono: al 31 dicembre ‘95, quando la ricostruzione poteva ormai considerarsi conclusa, il pallottoliere si fermò a 12.905 miliardi. Nove miliardi di euro d’oggi. Un settimo dei 66 spesi in Campania.
Certo, i friulani ci misero forza e cuore. Ma quanto hanno pesato, sui fallimenti in Belice e in Irpinia, le scelte diametralmente diverse della politica, che certo non possono essere superficialmente addebitate alla «pigrizia » dei siciliani e dei campani?
Marco Fantoni se lo ricorda come fosse ieri mattina, quel 6 maggio. Tutti i capannoni dello stabilimento di Osoppo in cui produceva mobili e pannelli furono devastati dalla botta: «Sulle prime ci venne da piangere: un disastro. Ma era inutile star lì a lagnarci. Era un giovedì sera. Mentre organizzavamo nel piazzale un centro per le roulotte per ospitare le famiglie dei dipendenti, abbiamo cominciato a consolidare con dei tiranti l'unico capannone rimasto in piedi e a portarci i macchinari che ancora potevano essere riparati. Il lunedì mattina ripartimmo con la produzione. Un mese dopo brindammo al primo mobile della rinascita».
Dice che no, non ha chiarissimo se il terremoto abbia dato un'accelerazione allo sviluppo delle aziende della zona e in particolare della sua: «Va' a saperlo... Eravamo già ben avviati. Fu una sfida, questo sì: dovevamo mostrare di essere più forti della sfortuna». Certo è che al momento della scossa i dipendenti erano 310 e il fatturato di 6 miliardi di lire. Dieci anni dopo, i primi erano saliti a 510 e il secondo a 49. Un'impennata proseguita (360 milioni di euro nel 2007) fino alla grande crisi internazionale.
Fortuna dovuta a una pioggia di aiuti pubblici? «Mica tanto — risponde il figlio Giovanni, già presidente degli industriali friulani —. I contributi a fondo perduto sui danni accertati furono pari al 30% del danno subito per le aziende distrutte e al 20% per quelle danneggiate ». Finanziamenti? «Fino a 12 anni con 3 di preammortamento al tasso del 4%. La Regione, certo, faceva da garante. E questo aiutò. I soldi, però, li abbiamo dovuti restituire».
[.....]
S. Faustino come Montmartre
fascino e storicità del nostro Montmartre
giovedì 16 settembre dalle 19 alle 23
via S. Faustino - Brescia (chiusa al traffico)
Pittori, scultori, musicisti ... faranno da cornice ad un quartiere che, per una sera, si prospetterà agli occhi dei cittadini come laridente e pittoresca collina che sovrasta Parigi.
Un po' ovunque ci si imbatterà nell'arte e nella poesia di artisti di ogni genere che, avvolti dalla naturale e suggestiva scenografia del Carmine, enfatizzata da scorci illuminati con lampade colorate e candele, scalderanno i cuori del pubblico dando una visione poetica di tutto il quartiere.
La serata verrà impreziosita da concerti di artisti bresciani.
Alcune delle postazioni artistiche in programma:
1) Loris Piovanelli & Elisabetta Rossi (zona karaoke)
2) Cristiano Saleri & Giancarlo Gandossi
Stefano Gustinelli & Stefano Bosio
3) Jeans & Gin
2 Strong
4) Dueparole Acoustic Band
Acoustic Karma
5) MADN Acoustic Trio
Consonanze Armoniche
6) Gioènda (musica irlandese/scozzese)
Ballerini di musica irlandese
7) Accademia Flamenco
8) Hip-Hop con gli Zero in Condotta
e molto altro.................
martedì, settembre 14, 2010
Machete e Barney...
Dancing at the Movies
Il montatore è un genio e il risultato è davvero bello B-)
L'intro del filmato spetta a due indimenticabili pellicole legate al ballo: Flashdance e Dirty Dancing. Il resto è un susseguirsi di passi storici, da quelli di Grease a quelli di Moonwalker di Michael Jackson. Il tutto sulla musica anni Ottanta di Footlose di Kenny Loggins.
lunedì, settembre 13, 2010
Festa dei fiori 2010
La quinquennale festa di Santa Croce (a Carzano), conosciuta anche erroneamente come "festa dei fiori di Montisola", è una celebrazione solenne conosciuta in tutta Italia e che ha per cornice la favolosa isola del lago d’Iseo: Monte Isola. La festa ha luogo in due piccoli borghi medievali, Carzano e Novale, che ogni lustro vengono addobbati a festa con arcate ricoperte da rami di pino e fiori di carta fatti rigorosamente a mano dagli abitanti del luogo.
I due paesi si presentano così in una veste unica ed eccezionale che la sera riesce a divenire, se possibile, ancor più magica poiché ogni arcata risplende di tante piccole luci bianche che rendono l’ambientazione da favola. Non manca mai nemmeno la tradizionale pesca di beneficenza che viene organizzata per raccogliere alcuni dei fondi (raccolti anche grazie all'autotassazione degli abitanti stessi) che si rendono necessari per l'organizzazione dell'evento.
Come già detto tutto il lavoro è rigorosamente manuale ed autofinanziato dagli abitanti mentre le tecniche di creazione dei fiori, che ad ogni edizione vengono affinate, sono tramandate di famiglia in famiglia e di generazione in generazione.
Si pensi che nell’ultima edizione, quella del 2005 si stima che siano stati realizzati ed esposti al pubblico più di 200 000 fiori. Questi, partendo da una produzione di inizio ‘900 quasi esclusiva di rose (fiore divenuto simbolo della festa), sono ora di ogni tipo e gli abitanti stessi fanno a gare per realizzare fiori sempre più belli e veritieri tanto che la fotografia tipica della festa rappresenta un’ape che si posa su di un fiore alla ricerca del nettare oppure di un visitatore che stregato dalla magia del luogo si avvicina ai fiori per annusarne l’odore.
Il fulcro delle manifestazioni è da tradizione il 14 settembre giorno in cui la Liturgia celebra la festa dell'Esaltazione della Santa Croce: nel piccolo borgo si svolge la processione con la S. Reliquia della Croce di Cristo che normalmente è conservata in un reliquiario d'argento a forma di croce del XVIII secolo.
youtube.com/movies
sono film vecchi e per lo più sconosciuti, in lingua inglese...
ma è un inizio visto che...
c’è l’accordo con MGM
Il portale più famoso del mondo per la condivisione di brevi filmati, YouTube, ha deciso di espandere i propri confini; è stato infatti raggiunto un accordo tra MGM e, appunto YouTube, che consentirà di mandare su YouTube film gratis.
Dunque si apre una nuova era e, dopo i brevi videoclip e i trailer, YouTube apre una sezione dedicata ai film; la ragione è chiaramente dettata dalla sempre maggiore concorrenza.
Infatti, se YouTube è il più famoso sito per i videosharing, il portale americano Hulu che permette ai propri utenti di poter vedere gratuitamente i film in streaming, lo sta velocemente raggiungendo e presto potrebbe esserci il sorpasso sia per quanto riguarda la qualità dei filmati sia per numero di utenti.
Per iniziare, dunque, YouTube aprirà con la sezione ‘Oldies’. I film che saranno quindi visualizzabili sul portale saranno pellicole datate e, allo stesso modo, anche i filmati della sezione televisiva con serie storiche; tuttavia i titoli saranno di sicuro interesse per tanti appassionati.
I filmati offerti dalla MGM saranno accompagnati dalla pubblicità i cui proventi andranno ripartiti tra la casa di produzione cinematografica e YouTube.
Resta infine da sottolineare che al momento la sezione dedicata ai film sarà solo ed esclusivamente in lingua inglese.
A chi non conosce bene la lingua non resta che mettersi a studiare o in alternativa pazientare fino ad una versione che consentirà la visualizzazione anche in lingua italiana.
PS: se c'è qualcuno appossiato di film datati (molto datati... si parla della prima metà del secolo scorso) in lingua originale, questo è il sito che fa per lui
domenica, settembre 12, 2010
Foto della settimana
Cresta Croce
1 luglio 2006