sabato, febbraio 09, 2013

Suvvia, per 1euro all'anno...

... ce la possiamo anche fare.
Basta solo calcolare quanto si spendeva di SMS & (soprattutto) MMS prima.
E per il numero della carta, basta usare delle prepagate o altre forme simili.



Su segnalazione di Marghe...

WhatsApp a pagamento, 
la rivolta degli utenti 
Le proteste: dopo un anno il servizio di messaggistica non è più gratuito. «È come il canone Rai, boicottiamolo»

«Cos'è il canone della Rai?». «Nulla contro le app a pagamento, ma dovrebbero esserlo fin da subito e non diventarlo in seguito… Per me è una cialtronata». «Non è la cifra il problema, ma il dover dare i dati della carta di credito. Cosa che il 99% degli utenti Android non credo abbia mai fatto». Questi i toni dei commenti che stanno affollando in queste ore i forum di telefonia e la pagina di download di WhatsApp su Google Play, negozio di applicazioni per Android.
Il programma di messaggistica fra smartphone via Internet impone a chi possiede un dispositivo con il sistema operativo del robottino verde il pagamento di una tassa annuale dopo i primi 12 mesi di utilizzo. Nell'ultimo aggiornamento, si fa riferimento in maniera specifica alla possibilità di acquistare l'estensione temporale del servizio: "in-app purchase" è il termine tecnico che descrive la necessità di mettere mano al portafoglio in un secondo momento. Il canone, equiparato da un adirato commentatore a quello della tv di Stato, è di 0,79 centesimi. Oltre ai telefoni cellulari intelligenti Android, sono coinvolti nella novità anche i Blackberry e i dispositivi con os Windows. Tutti casi in cui il primo download non comporta alcun costo. Chi ha un iPhone ha invece dovuto sborsare subito 0,89 centesimi, pedaggio (fino a nuovo ordine) una tantum.
L'approccio differente si deve alle diverse abitudini dell'utenza, come sottolineato nel terzo commento citato: chi si avvicenda sull'App store della Mela è tradizionalmente più abituato a pagare per scaricare le iconcine colorate. Per emergere nel marasma delle applicazioni gratuite presenti su Google Play, i genitori di WhatsApp, Brian Acton e Jan Koum, hanno evidentemente individuato in un anno il periodo necessario per assicurarsi la fedeltà degli utenti. E vista la mole di messaggi in verde, hanno avuto ragione: lo scorso 31 dicembre è stato annunciato il raggiungimento di quota 18 miliardi di scambi al giorno. Di fornire il servizio gratuitamente e provare a fare cassa con i messaggi pubblicitari, i due hanno sempre messo le mani avanti, non se ne parla. Secondo Acton e Koum, accomunati anche da un passato in Yahoo!, le sponsorizzazioni rappresentano «un insulto all'intelligenza dell'utente». Le condizioni di acquisto in esame sono spiegate chiaramente nella descrizione sui vari negozi digitali e sul sito ufficiale della soluzione, ma la ricezione dell'avviso della scadenza del periodo gratuito non è stata comunque accolta di buon grado. «Mi mancano sette giorni al rinnovo e già non funziona più… parliamone», fa notare un utente. «Questa storia del pagamento non mi piace. Chi possiede un Apple paga una sola volta, io invece mi ritroverei a pagare quella cifra ogni anno. Non trovo giusto l'atteggiamento», aggiunge un altro, che ha evidentemente scoperto da poco la novità.
Su Twitter c'è chi propone uno spostamento di massa su WeChat, alternativa di origine cinese, e sui forum si parla di ChatOn, sistema di messaggistica griffato Samsung, e Viber, piattaforma mediante la quale è anche possibile (tentare di) telefonare appoggiandosi alla Rete. Ci sono anche Line e Facebook Messenger, ma, come fa notare un internauta, WhatsApp conta su una base utenti consistente che lo rende veicolo preferenziale per raggiungere la maggior parte dei propri contatti. E, fra un protesta e l'altra, c'è anche chi reputa la cifra richiesta ragionevole in considerazione del lavoro degli sviluppatori e dell'assenza di pubblicità. Ma i problemi, passeggeri nel caso sovracitato, non finiscono qui: le autorità canadesi e olandesi di protezione della privacy hanno puntato il dito contro l'accesso indiscriminato da parte di WhatsApp all'intera rubrica di chi si iscrive. Solo l'ultima versione per iPhone consente di caricare manualmente i contatti da inserire nella lista dell'applicazione, mentre gli altri sistemi operativi lasciano che sia WhatsApp a scandagliare la rubrica - e a registrare i numeri di telefono dei potenziali utenti - per individuare chi ha già scaricato il servizio. I creatori dell'app si sono impegnati a risolvere il problema, ma non hanno ancora fornito lumi sui tempi.
29 gennaio 2013


WEB A PAGAMENTO 
Da WhatsApp ai social network Internet sempre più a pagamento 
Dopo YouTube e Twitter, quelle tariffe che spiazzano gli utenti 

 «Fai in modo che si abituino ad avere un servizio gratis. E poi chiedi loro di pagare per continuare ad averlo».
La strategia di marketing è chiara: prima rendere l’utente dipendente da un’app o da una piattaforma. Poi, quando questo non ne può più fare a meno, gli si impone un canone. Un «ricatto», forse, che a molti non piace. Nativi digitali in testa. Capita, sempre più spesso, anche con una delle applicazioni più scaricate al mondo: WhatsApp. Il servizio di messaggistica è gratuito. Una volta scaricato sullo smartphone, permette di chattare senza pagare un costo aggiuntivo. Tutto risolto? No, perché dopo un anno di utilizzo l’applicazione diventa a pagamento, sia per gli utenti Android (79 centesimi all’anno) che per quelli iOS (0,89 euro). «Cos’è? Come un canone Rai», si lamenta qualcuno su Google Play. «Boicottiamolo», scrive un lettore a Corriere.it. Ma c’è anche chi sottolinea: «Le condizioni del servizio sono indicate chiaramente. Quindi non lamentatevi. E in più la cifra richiesta è ridicola a confronto con quello che si spende per gli sms». Già, i termini del contratto sono chiari.
Le compagnie sanno che i servizi a pagamento sul web sono impopolari e procedono per tentativi. Se si accorgono che i download calano, rimettono in circolazione solo la versione gratuita dell’applicazione ed eliminano quella con il canone posticipato, in modo da acquisire nuovi utenti. Il tutto creando grande confusione. Soprattutto se si pensa che piattaforme come YouTube, DropBox, Linkedin o Gmail sono diventati ormai strumenti di lavoro, indispensabili per comunicare con i propri contatti. «Il problema sono i ricavi pubblicitari», spiega Marta Valsecchi dell’osservatorio Mobile e Web del Politecnico di Milano. «Il servizio deve essere sostenibile per le software house. Una volta lanciato il prodotto, se le inserzioni sono insufficienti, viene introdotto il canone per fare cassa». Il trucchetto però non sempre funziona: «Soprattutto i giovani sono abituati ad avere tutto gratis in rete, dai film, passando per le canzoni fino ai servizi di chat. Quindi non sono disposti a pagare». È un attimo e il pensiero corre al dibattito scatenato negli Usa dallo Stop Piracy Online Act (la proposta di legge contro la pirateria in rete). Secondo molti, in testa gli hacktivist, è giusto che alcuni servizi siano gratuiti. Perché aiutano a diffondere le informazioni. E perché permettono la condivisione del sapere. «Inoltre, se la concorrenza in rete è tanta, ci sarà sempre qualcuno pronto a offrirti gratuitamente la stessa cosa che tu proponi a pagamento», continua Valsecchi.
Gratis però non è sempre sinonimo di qualità. Il rischio è infatti — avviene con Facebook — che l’azienda non faccia pagare nulla ma poi utilizzi i dati sensibili dei suoi utenti per fare profitto. Non a caso è successo anche con WhatsApp, di recente tacciata di acquisire tutti i nomi della rubrica telefonica dei suoi iscritti. Così come Facebook viene accusata, ormai ogni giorno, di non rispettare la privacy degli utenti. Non appena però Menlo Park parla di introdurre un canone, fosse anche solo per inviare i messaggi privati a contatti vip, gli iscritti minacciano la fuga. E stessa cosa succede per Twitter, dove i trending topic a pagamento fanno venire l’orticaria ai puristi dei 140 caratteri. Stallo alla messicana, lo chiamerebbe il regista Quentin Tarantino. Il cane che si mangia la coda per quelli che non amano il genere pulp. La strategia per uscirne? «Molti si rifiutano di pagare perché hanno paura di dare il proprio numero di carta di credito. Sarebbe sufficiente legare il canone del servizio all’abbonamento del telefono e gli utenti diventerebbero più disponibili», conclude Valsecchi. Ma siamo davvero sicuri che basterebbe solo questo?

31 gennaio 2013



venerdì, febbraio 08, 2013

Il Rifugio degli Asinelli O.N.L.U.S.

Su segnalazione di Maria...

Compleanno del giorno






AUGURI BERTOSS!!

giovedì, febbraio 07, 2013

Crozza imita Silvio

E' il classico video che ti fa ridere... ma allo stesso tempo piangere....
Son 20anni che spara le stesse cazzate e c'è ancora chi lo vota?!?!? 
porca troia.....


da Ballarò del 5 febbraio 2012



Consulta Nazionale Malattie Rare

Si spera sempre di non dovere mai averci a che fare... ma se dovesse accadere, almeno si ha un'idea...



Cosa sono le Malattie Rare?

La Commissione Europea ha definito "Rare" quelle patologie la cui incidenza non è superiore a 5 individui su 10.000 abitanti. In Europa si stima che le persone affette da malattie rare siano fra i 20 e 30 milioni e in Italia circa 2 milioni. Si tratta di un gruppo di circa 7.000 patologie, spesso fatali o croniche invalidanti, che rappresentano nel loro complesso circa il 10% delle malattie che colpiscono l'umanità.
Il 75% delle malattie rare colpisce i bambini;
Il 30% dei pazienti affetti da malattie rare muore prima dei 5 anni di età;
L'80% delle malattie rare ha origine genetica;
il restante 20% è rappresentato da malattie acquisite.


Le malattie rare sono caratterizzate da un'ampia gamma di manifestazioni che variano non solo da malattia a malattia, ma anche da paziente a paziente. Per la maggior parte di esse non esiste una cura o un trattamento specifico. Il fattore chiave per garantire ai bambini colpiti da malattie rare migliori chance di una vita soddisfacente è la diagnosi precoce attraverso uno screening neonatale, soprattutto quando esiste una terapia.
Ecco la nuova legge in discussione in cui 110 malattie "rare" sarebbero riconosciute per legge ed esentate dal ticket:

mercoledì, febbraio 06, 2013

Pagamento a 30gg imprese edili


Pagamenti entro 30 giorni anche per le imprese edili
Ministero sviluppo economico: le nuove regole si applicano a tutti i settori produttivi, la direttiva Ue prevale sulla norma nazionale

L’Italia si adegua alle segnalazioni dell’Unione Europea sui ritardi nei pagamenti e specifica che i tempi più brevi, a disposizione delle Amministrazioni per il saldo delle somme dovute alle imprese, valgono anche nel settore edile.

Nella circolare emanata mercoledì scorso dal Ministero dello Sviluppo Economico, è espressamente precisato che il Decreto Legislativo 192/2012 per il recepimento della Direttiva 2011/7/Ue si applica a tutti i settori produttivi.

Nonostante la norma di recepimento non contenga un riferimento esplicito al settore costruzioni, spiega la circolare, l’estensione ai lavori può essere evinta dall’espressione “prestazione di servizi”.
Allo stesso tempo si deve considerare che la fonte normativa europea, cioè la direttiva che contiene il riferimento all’edilizia, prevale su quella nazionale eventualmente contrastante.

Le norme contro il ritardo nei pagamenti si applicano ai contratti stipulati a partire dal primo gennaio 2013 e prevedono un tempo massimo di 30 giorni per il saldo delle somme dovute alle imprese.
Il decreto ammette inoltre proroghe a 60 giorni se concordate tra le parti e previste dalla documentazione di gara, anche se l’Unione Europea ritiene che le deroghe debbano essere consentite solo alle imprese pubbliche e al settore sanitario.

Nei giorni scorsi, la mancanza di un riferimento esplicito ai lavori pubblici nel D.lgs. 192/2012, ha portato il vicepresidente della Commissione Ue e responsabile dell'Industria Antonio Tajani a ribadire la validità dei nuovi tempi di pagamento per le imprese di costruzione.

La richiesta di Tajani ha dato voce ai dubbi e alle perplessità sollevate dopo la pubblicazione del D.lgs. 192/2012 dagli esponenti del comparto edile, preoccupati che la mancata menzione significasse l’esclusione dei lavori pubblici, che in base al Codice Appalti rappresentano uno dei tre settori in cui sono suddivisi i contratti pubblici.

La circolare emanata ha suscitato la reazione positiva dell’Ance, Associazione nazionale costruttori edili che, come riferito nel comunicato diramato ieri, si era mossa per scongiurare il pericolo di un’applicazione parziale della Direttiva secondo l’orientamento della Ragioneria generale, contraria all’inclusione del settore per motivi di bilancio.
 

25 gennaio 2013

martedì, febbraio 05, 2013

Compleanno del giorno

hehe, la Nicchia è sempre alternativa: è rimasta indietro di 1anno e mi ha mandato la foto... da bambina :D
Per "dimostrar che ero davvero bionda!"  (cit.)



in quella foto avrà avuto 5/6, quindi a 25 sarebbe dovuta esser ...
inquietante!!!
per fortuna abbiam avuto la fortuna di veder la vera Nicchia 25enne ;-)


cartoonizzata








AUGURI NICCHIA!!

lunedì, febbraio 04, 2013

"Golositalia" a Brescia

Su segnalazione di Ciccio..






Decalogo per il Redditometro

Ecco cosa fare per aver ciò che serve in caso di controllo


Redditometro, DECALOGO anti panico:
scontrini, donazioni, bonifici, rate…

ROMA – Redditometro, decalogo anti panico. Dalla collezione (quando, per cosa) degli scontrini, alla conservazione delle “prove” (bonifici, assegni) di regali e donazioni, fino alle varie spese (dalla colf agli acquisti a rate) chi non ha nulla d temere dal Fisco può consultare questa lista di dieci mosse per vivere senza angustie la carriera del contribuente al tempo del redditometro. Il “decalogo” proposto dal Sole 24 Ore di lunedì 21 gennaio, è un ottimo “tranquillante” rispetto a uno strumento, quello dell’accertamento sintetico, visto da più parti (anche perché nel frattempo è rimasto orfano di padri politici) come troppo ingerente la privacy dei contribuenti cui spetterebbe l’onere della prova per dimostrare di non essere un evasore. Ripetiamo, a chi non ha nulla da temere, basta attenersi a poche, semplici regole.

1) Spendere senza paura. Non aver paura di spendere. Il redditometro va a caccia dei grandi scollamenti tra quanto dichiarato e quanto ricostruito dal Fisco. La somma delle uscite definisce il profilo del contribuente nel confronto con il tenore di vita. Il reddito dichiarato è il parametro più importante per il Fisco.

2) Non impazzire appresso agli scontrini. Nessuno, nemmeno il Fisco, ti chiede lo scontrino del supermercato. Fai una selezione mirata della documentazione da conservare, specie di quella che potrebbe attestare la veridicità di spese che il Fisco approssima, diciamo così, per eccesso. Quindi, ricevute per viaggi o rette scolastiche che magari sono costate meno del previsto e di ciò che presume il Fisco. Sopra i 3600 euro non serve tenere scontrini, ci pensa già lo spesometro.

3) Rendi tracciabili le donazioni. Ciò che ti regala un familiare (o un amico), magari per aiutarti nell’acquisto di una casa o di un’auto nuova, è meglio renderlo tracciabile. Bonifico bancario o assegno non trasferibile le soluzioni migliori. Importante la causale, per es. “donazione per acquisto casa”. Se costretti a giustificare donazioni passate, aiuta ricostruire il flusso con un estratto conto bancario  di chi ha effettuato la donazione.

4) Bollette e utenze. A chi è intestata la bolletta? E’ una domanda che viene fatta, specie quando, per esempio, l’utenza è intestata dal componente del nucleo familiare con il reddito più basso e fiscalmente non a carico. Meglio sarebbe intestare l’utenza a chi materialmente poi ne paga le bollette. Ad ogni buon conto, tracciare i pagamenti delle bollette elimina alla radice ogni possibile contestazione: bancomat, carta di credito, addebito siu conto corrente, è sempre meglio del contante.

5) Colf e domestici. Anche qui, problemi solo se l’assunzione risulta addossata sulle spalle di chi ha il reddito minore in famiglia, per esempio il coniuge, e non è fiscalmente a carico dell’altro coniuge. In ogni caso, basta giustificare la spesa esibendo l’addebito del bollettino Mav per il versamento dei contributi sul conto corrente di chi effettua i pagamenti.

6) Acquisti a rate. Il Fisco potrebbe adottare misure più flessibili. Facciamo un esempio: l’acquisto di un’auto riguarda un risparmio magari di anni, ma incide, per il Fisco, solo per l’anno fiscale. Di qui la necessità condivisa anche dall’Agenzia delle Entrate, di spalmare questo investimento in 5 anni. Certo, se acquisti a rate, il problema non si pone (a parte la spesa per interessi,, ma questo è un altro discorso).

7) Vendita di titoli o eredità. Tracciare sempre, è la regola quando si cedono titoli, si smobilizzano polizze, si vendono immobili o beni di pregio, si riceve un’eredità. Serve a star tranquilli quando il Fisco ti chiede ragione di un acquisto importante.

8) Separa casa e ufficio. Tieni rigorosamente separata la contabilità dell’acquisto di beni dello studio professionale da quelli per uso domestico. I primi non rientrano nel redditometro. Ma quelli a metà tra tra casa e ufficio rientrano nella parte di spesa che non è fiscalmente deducibile.

9) Dimostra chi paga. La vacanza, il viaggio, la luna di miele te li regalano gli amici? In questo caso meglio far effettuare la raccolta fondi (la colletta per capirci) su un conto corrente dedicato o tramite bonifico bancario. Se la spesa, invece, è interna al menage familiare, è meglio far pagare chi è fiscalmente più forte ( nel senso che ha un imponibile più alto).

10) Vincite o interessi. Ho vinto al Lotto. E’ la giustificazione classica, talmente abusata da sembrare posticcia falsa. Non è così. Si può guadagnare vincendo alla lotteria, o con gli interessi sui titoli di Stato, si possono percepire redditi da locazioni tramite cedolare secca. Una o l’altra che sia, sono tutte fonti di reddito non tassabili e, importante, possono valere per dimostrare la coerenza tra quanto effettivamente guadagnato e quanto speso a detta della stima del Fisco.

21 gennaio

domenica, febbraio 03, 2013

Foto della settimana

Lago di Garda
01 novembre 2009
L'ultima uscita del corso di alpinismo come di consueto si svolge al M.te Castello di Gaino, sopra Toscolano Maderno, Lago di Garda; per arrivarci si costeggia un pezzetto di lago e se si sta attenti è facile beccare qualche scorcio mica male...
Alessio