Lettera agli aquilani dopo sei mesi.
Oggi è il sei ottobre 2009. Sei mesi dal sei aprile. Sei mesi, che sono un soffio e un’eternità insieme.
Un soffio, per chi prepara progetti e li mette in atto, scontrandosi con la realtà dei “tempi tecnici”
necessari per fare qualsiasi cosa. Un’eternità, per chi aspetta una normalità che sembra non arrivare
mai, costretto a una vita da rifugiato anche se ha scelto di vivere a pochi metri da casa, obbligato a
far passare il tempo senza avere il comando dei propri giorni per decidere come viverli.
Come capita sempre nella vita, a distruggere basta un attimo, per costruire serve tempo. Una città,
un territorio sono come una famiglia, un’impresa, una qualsiasi altra realizzazione sociale
dell’uomo. Quando l’amore non è coltivato ogni giorno, quando si lavora oggi senza pensare a
domani, quando si sta insieme per motivazioni che un giorno erano chiare, ma sulle quali non si è
avuto la prudenza di lavorare, qualsiasi crisi può sfasciare tutto quello che abbiamo costruito, su cui
abbiamo scommesso, che abbiamo considerato un bene acquisito una volta per sempre. Le famiglie
si dividono, le imprese falliscono. Comincia, inevitabile, una stagione di ripensamenti, spesso di
accuse agli altri perché non ci hanno capito, non hanno riconosciuto le nostre ragioni, hanno
mandato a rotoli i nostri progetti.
Chi resta da solo e senza risorse, chi si ritrova dall’oggi al domani senza lavoro, chi si accorge che il
racconto delle proprie esperienze di dramma, col loro strascico di paure e incubi notturni, ottiene
un’attenzione sempre minore, distratta, svogliata: sono queste le sole persone che possono capire
cosa sono sei mesi nella vita di chi se l’è vista distrutta.
Il terremoto, la distruzione: nulla è più come prima, niente lo sarà mai più. Il terremoto parte dalla
terra e arriva dentro ciascuno, dentro le famiglie, le comunità, le città, si installa come un ospite non
voluto che è impossibile allontanare.
Una presenza che cambia peso e intensità col passare dei giorni. I primi sono quelli del lutto, dei
soccorsi, dei senzatetto da mettere al riparo. Poi ci sono quelli della solidarietà, tra chi è venuto ad
aiutare e chi ha trovato rifugio, dell’accoglienza, della voglia di far festa per ogni piccolo segno di
vita buona, come una scuola che riapre o la nascita di un bimbo che diventa simbolo di speranza per
tutti. Poi ci sono i giorni duri del tempo che rallenta, delle televisioni che non hanno più inviati,
della routine dei campi che si vive con il fastidio crescente di essere come separati, da quei teli blu,
dal resto del mondo e dal proprio futuro. Adesso è il periodo del tempo che non passa, perché ogni
entusiasmo si è raffreddato, e ogni attesa provoca dolore, perché, costretti dalle cose ad essere
realisti, a guardare in faccia la realtà per com’è, arriviamo a non sopportarla più.
Anche i fatti positivi che pure accadono intorno a noi sono condivisi con riserva, se riguardano altri
e non il proprio futuro. Sono centinaia, dopo sei mesi, le famiglie che abitano case nuove e
confortevoli. Sono migliaia i ragazzi che hanno ripreso la scuola spesso in strutture realizzate a
tempo di record. Sono sempre meno coloro che ancora non hanno trovato una sistemazione buona
almeno per l’inverno. In sei mesi l’Italia intera ha partecipato a realizzare, all’Aquila, strutture che
in occasione di altri terremoti non si sono mai viste o hanno richiesto anni per essere completate. La
Protezione Civile e tutte le sue componenti e strutture operative, decine e decine di imprese al
lavoro, hanno trasformato L’Aquila e i Comuni del cratere in un cantiere aperto giorno e notte per
dare casa e servizi a un’intera città disastrata.
I primi risultati si vedono, sono concreti, sono reali, ma la realtà, che pure registra record assoluti di
tempestività ed efficienza, sembra sempre in ritardo rispetto al tempo della nostra impazienza, della
stanchezza che arriva alle ossa perché abbiamo bisogno di un’aria diversa per respirare, senza
misurarci ogni istante col tempo che, a seconda dei casi e dei ruoli, si traveste da soffio o diventa
eterno sulla nostra pelle.
Scrivo queste cose, a sei mesi dalla catastrofe, perché non mi sento ma sono aquilano, non mi sento
ma sono terremotato, perché vivo da quel giorno gli stati d’animo, le ansie e anche le speranze di
chi vive qui, nelle condizioni che il sisma del 6 aprile ha disegnato. Chi lavora con me da sei mesi,
impegnato ogni giorno per rimediare ai guasti del terremoto, vive questa contraddizione di sentire
che il tempo, i giorni, sono sempre troppo pochi e troppo lunghi, troppo pochi per arrivare a tutto,
troppo lunghi perché non si vede bene la fine del tunnel della precarietà nel quale nessuno, lo
abbiamo giurato a noi stessi, deve restare intrappolato.
Non siamo terremotati perché il sisma ci ha colpito ma perché abbiamo scelto di esserlo con gli
aquilani, siamo venuti da fuori e siamo rimasti, con l’idea forse banale e semplicistica che stava a
noi per primi non andarcene, restare e lavorare senza risparmio di energie per dire coi fatti ai
cittadini dell’Aquila che non erano soli, che lo Stato c’era e c’è, che il terremoto non ha lasciato
nessuno senza percorsi possibili verso un futuro vivibile.
Sono andato via dall’Aquila solo quando la tragedia, il disastro, hanno colpito altre parti d’Italia, a
Viareggio, a Messina in queste ultime ore. Viaggi da una catastrofe ad altre, da un dolore che
conosco ad altre sofferenze e altre amarezze. Per questo non ho bisogno di leggere i giornali, di
ascoltare dichiarazioni, di scorrere reportage, di prender parte al gioco inutile delle polemiche per
sapere che il nostro compito in Abruzzo non è ancora finito, che dobbiamo mettere in conto ancora
giorni e giorni passati lavorando senza badare alla fatica, spendendoci per limare un po’di tempo
all’eternità di chi aspetta e far stare più cose nel soffio di ogni giorno a nostra disposizione.
Chiedo al tempo, in questo giorno, di non impedirci di vedere ciò che abbiamo fatto e di gioirne,
insieme a quanti per primi sono arrivati a godere dei risultati dell’enorme sforzo che ogni giorno si
compie in queste terre.
Chiedo al tempo che ci conceda una sua piega, per ricordare quanta strada abbiamo fatto in sei
mesi, dai primi soccorsi alle esequie delle vittime, dalla visita del Papa alle decisioni del Governo
per far fronte all’emergenza, dal G8 ai piani per le nuove costruzioni, dalle prime case finite a
quelle che stanno sorgendo, dai giorni della mobilitazione solidale degli italiani fino all’oggi, che
vede ancora migliaia di persone al lavoro, che hanno stabilito con l’Abruzzo e la sua gente un
rapporto destinato a durare.
Chiedo al tempo, infine, di lasciarci vedere il termine dell’attesa. Abbiamo tutti fame di pace, di
cose finite, di impegni assolti. Abbiamo tutti fame di un buon futuro possibile e concreto, da usare
con un po’ di libertà. Lo so e lo sento, condivido, resto qui a condividere con quanti ancora devono
pazientare.
Il giorno in cui daremo una casa all’ultima famiglia che l’aspetta, potremo di nuovo imparare a
vivere il tempo nella sua semplicità, considerandolo nostro amico. Resto qui con voi, perché so che
quel giorno è vicino e credo in coscienza di aver conquistato il diritto e l’onore di viverlo insieme a
voi.
Guido Bertolaso
qui ci sono le informazioni della protezione civile sull'andamento dei lavori. http://www.protezionecivile.it/cms/view.php?dir_pk=395&cms_pk=16016
9 commenti:
Il Berty lo ha mollato la morosa o ha chiamato lo sceneggiatore di Cento Vetrine?
Azz...
con questo commento Gì...
ora si comincia!!!
daiiiiiiii che mi ravvivate la giornata!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
cmq, veramente... cacchio... non so piu' a cosa credere... Bertolaso dice che ci ha messo tutto quello che poteva fare... e lui l'ho sempre stimato!! ...Voi che ci avete "vissuto" dite che siamo ben lontani da quello che ci fan vedere in TV... e a voi voglio credere!!
quindi??? a cosa crediamo??
alla via di mezzo???
muoio!!
Non a me, non a me! Io sto solo ricoprendo il ruolo vacante del Vex (che non puo’ fare il Vex su un post del Vex!)
E siccome l’Anonimo pare che di giorno lavori…
– Schloime, perché sei tu il matto?
– Per caso. lo volevo fare il rabbino, ma il posto era già preso. Visto che mancava il matto, ho pensato: "Fai il matto, se no lo fanno loro. Fallo al posto loro". TRAIN DE VIE
eheh sono così fastidioso?
Io proverò a riassumere quello che ho capito...
1) fin dall'inizio han parlato di prime case consegnate a settembre le altre nei mesi successivi, e le ultime a dicembre. Il problema è che tra giornalisti e primo ministro hanno sempre dato l'enfasi su prime case a settembre, e poco su ultime a dicembre.
2) per tutta una serie di motivi l'operato della protezione civile è stato messo sotto lente di ingrandimento dai giornalisti. La cosa credo abbia giovato come pungolo, ma il problema è che quando i giornalisti parlano dei disagi degli abruzzesi (e fan benissimo a pralrlarne) non affrontino mai il problema con un responsabile della protezione civile. Può essere che sia solo perchè quelli della P.C. siano troppo occupati per rispondere alle domende dei giornalisti però, così facendo si ha un informazione a senso unico, molto drammatica e emotiva, anche utile per capire come ci si sente ma poco utile per giudicare cosa si sta facendo, se i disagi sono temporanei, o sistemici.
3)Credo che la lettera di Bertolaso voglia solo chiedere agli aquilani di stringere i denti ancora due mesi, e cercare di essere collaborativi ( e in questo senso va il non ostacolare la chiusura dei campi) ancora un pò, nonstante l'irritazione, e i disagi, e il timore che finendo in albergo, si rallenti la velocità di costruzione delle case.
4) Bertolaso ha dimostrato in più di un occasione di saper prendere la decisione giusta anche a costo di scontentare l'opinione pubblica locale (vedi Napoli), cionostante è fallibile, può essere che il piano CASE sia stato un azzardo? che ci fossero soluzioni migliori? io non lo so, da quel poco che ho letto e sentito, le soluzioni alternative sono state attuate dove possibile, per l'Aquila c'era l'esigenza di dare case a un gran numero di persone, nello stesso posto e per lungo tempo. Hanno optato per una soluzione, più lenta, potendo sfruttare la primavera e l'estate e l'autunno per lavorare, nell'ottica di un comfort maggiore nel lungo termine, a fronte di un disagio maggiore nel breve termine.
5) purtroppo un Presidente del Consiglio così discusso come berlusconi, non ha facilitato le cose, personalizzando la questione, per sua scelta e dei suoi avversari, e trasformando ogni dibattito sulla questione in un pro-contro Mr B.
P.S. magari gli è morto il gatto!
No, no, senti qua:
“Come capita sempre nella vita, a distruggere basta un attimo, per costruire serve tempo. […]
Quando l’amore non è coltivato ogni giorno, quando si lavora oggi senza pensare a
domani, quando si sta insieme per motivazioni che un giorno erano chiare, ma sulle quali non si è
avuto la prudenza di lavorare, qualsiasi crisi può sfasciare tutto quello che abbiamo costruito, su cui
abbiamo scommesso, che abbiamo considerato un bene acquisito una volta per sempre. […]
Comincia, inevitabile, una stagione di ripensamenti, spesso di accuse agli altri perché non ci hanno capito, non hanno riconosciuto le nostre ragioni, hanno mandato a rotoli i nostri progetti.”
L’ha proprio mollato la morosa!!
...non è che vuole fare le scarpe a Bondi come poeta romantico del Pdl?
O il gatto gli è scappato di casa, e glielo hanno investito!
Ciccio??? Stimavi Bertolaso??? Quello dei rifiuti di Napoli???
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