Tassista ucciso, fuga di testimoni
In udienza solo 4 dei 20 convocati
Per il delitto è stato già condannato a 16 anni con rito abbreviato
uno dei responsabili ma le persone convocate hanno paura
delle ritorsioni e presentano i certificati medici
MILANO - Uno ha deciso di scrivere una lettera direttamente al pubblico ministero. "Avendo paura che succeda qualcosa a me e alla mia famiglia, non voglio testimoniare", il messaggio testuale. Un altro, addirittura, si è reso irreperibile e per vederlo in tribunale si sono dovuti inviare i carabinieri. Un terzo, invece, per il suo "stato di salute e per problemi psicofisici", a detta del medico che lo ha in cura, è meglio che in tribunale non ci si presenti neppure. Se si pensa che la gran parte degli altri diciassette testimoni convocati dalla procura si è rimangiata la prima versione dei fatti, il risultato, sulla carta, sembra quasi scontato.In udienza solo 4 dei 20 convocati
Per il delitto è stato già condannato a 16 anni con rito abbreviato
uno dei responsabili ma le persone convocate hanno paura
delle ritorsioni e presentano i certificati medici
Non è la cronaca di in un processo di mafia, in una terra di confine in cui lo Stato, tra mille difficoltà, tenta di avere ragione sull'omertà e sul codice spesso spietato della criminalità organizzata. La scena si sta consumando in quella che per molti resta la capitale morale del Belpaese: Milano. Al processo per l'omicidio del tassista Luca Massari, morto dopo un investimento casuale di un cane nella periferia sud della città, ci sono tre imputati. Massari, il 10 ottobre 2010, con la sua auto sta percorrendo via Ghini, dopo aver lasciato un cliente in via Ripamonti. Da un giardino pubblico, spunta all'improvviso, un cucciolo di cocker sfuggito al controllo della sua padrona. Il tassista frena di scatto, ma non riesce a evitarlo. L'animale muore all'istante, Massari se ne accorge e si ferma immediatamente per cercare di rendersi
utile. È la sua fine. In pochi attimi viene preso di mira dalla proprietaria, Stefania Citterio (26 anni), che gli inveisce contro minacce e insulti: per concludere brandendo un casco da moto con un emblematico "ora ti ammazzo".
Ad assecondare le richieste della donna, ci pensa il fidanzato, un balordo della zona, Morris Ciavarella, 32 anni e il fratello della Citterio, Pietro, 27. Massari, 45 anni, finisce la sua vita esattamente un mese dopo in un reparto di terapia intensiva per una lesione cerebrale causata da una ginocchiata in pieno volto. Ciavarella viene portato in carcere poche ore dopo il pestaggio. Ma per identificare i suoi due complici, invece, serviranno giorni ed estenuanti interrogatori. Da subito il pm Tiziana Siciliano e la squadra mobile di Milano, si trovano di fronte all'omertà quasi totale. Chi si azzarda a raccontare come sono andati realmente i fatti, come un giovane studente universitario, all'indomani si trova l'auto brucia
Solo un imbarazzante prologo di quanto sta succedendo, adesso, 19 mesi dopo quell'aggressione in un'aula di giustizia. Ciavarella, attraverso il rito abbreviato, è già stato condannato a 16 anni di carcere. I fratelli Citterio hanno optato per il rito ordinario. Ora si stanno per tirare le somme del processo: lunedì è prevista la requisitoria della Siciliano e le richieste di pena. Ma per il pm, il dibattimento si è dimostrato più che in salita. Solo 4 testi, infatti, hanno confermato quello che hanno visto. Sono gli unici testimoni diretti dell'aggressione, che non vivono più nel quartiere di via Ripamonti. Gli altri hanno tentato di ritrattare la prima versione, sminuire il ruolo avuto dai fratelli Citterio. Proprio davanti ai giudici della Corte d'assise, si è perfino scoperto come una signora abbia negato l'innegabile: smentendo che dietro al rogo dell'auto del figlio, ci possa essere un nesso con le loro prime dichiarazioni alla polizia. Nessuno oggi, tra i residenti del quartiere, sembra più disposto a scommettere di aver visto i fratelli Citterio accanirsi sul povero tassista.
2 commenti:
Questa è l'Italia. Un Stato di M..da in cui i criminali restano impuniti, e i sospettati stanno in carcere senza nessuna condanna. Ha ammazzato un uomo.. 16 anni??? Cazzo 40 anni. !6 anni vuol dire che tra cinque anni è fuori dal carcere che si farà 5 anni ai domiciliari e gli altri sei gli verranno scontati. E lo Stato pretende che uno vada a testimoniare? quelli che lo hanno aiutato cosa rischiano? 10 annni? vuol dire che tra 3 anni son fuori, di nuovo sotto casa tua, a spaccarti le ruote della macchina, a insultarti, a renderti la vita impossibile. Poi uno prende la pistola e si fa giustizia da sè. E finisce in carcere per davvero. Lo Stao italiano è una cosa inutile.
siamo arrivati ad un punto in cui l'unica cosa che si deve sperare è di non dover mai avere a che fare con la giustizia: non importa che tu abbia ragione o sia nel torto... è da evitare!!
Posta un commento