lunedì, aprile 18, 2011

L'isola di plastica nell'oceano

Il racconto del velista italiano
Giovanni Soldini affronta la questione del Pacifico invaso dai resti dopo il terremoto, che diventano un rischio per la navigazione
I detriti dello tsunami nell'oceano
Quelle storie del Giappone alla deriva

Case, auto e ricordi: in 3 anni la massa arriverà sulle coste della California

Il primo pensiero che ti viene è che dietro quel tetto, quel pezzo di casa, quell' automobile, c' era una famiglia, un uomo, una storia. Ma subito dopo penso a un' altra cosa, che è ancora più grave, perché riguarda il futuro, riguarda la vita che sarà ancora messa in pericolo.
Le migliaia di detriti dello tsunami che ha colpito le coste giapponesi l' 11 marzo scorso fluttueranno verso la California, l' Oregon, l' Alaska, le Hawaii prima di tornare indietro impiegando sei anni, cambieranno consistenza, forma e saranno scambiate per cibo dai pesci e dagli uccelli.
È un disastro ambientale di dimensioni epocali, senza precedenti, senza misure di intervento possibili. Il problema non è solo di chi rischia la vita navigando in quelle acque (pescherecci, navi mercantili, barche da diporto) dato che è pressoché impossibile evitare ostacoli semi sommersi (gli americani stanno addirittura pensando di riscrivere le rotte delle loro navi nel nord del Pacifico).
In gioco è l' ecosistema di tutto un oceano. Trasformato in spazzatura da milioni di piccoli frammenti di plastica. Alcuni finiranno sulla coste della California, altri verranno risucchiati dalla Great Pacific Garbage Patch, l' «isola di plastica» o anche «isola della spazzatura». È uno sterminato concentrato di rifiuti che ha cominciato a formarsi negli Anni Cinquanta, ha raggiunto lo spessore di un metro e si stima occupi il 3 per cento della superficie del Pacifico. Non l' ho mai vista. Ma mi fa impressione l' idea di questo buco nero che per via delle correnti catalizza gran parte della plastica galleggiante che c' è nel mare. E la plastica non è un problema da poco. Quasi tutti i pesci, i cetacei e gli uccelli trovati morti sulle spiagge di tutto il mondo hanno la pancia piena di pezzi di plastica. Che scambiano per calamari o altri cibi per loro appetitosi. È successo anche in Italia nel dicembre del 2009, quando un gruppo di capodogli si spiaggiò sulle coste della Puglia e l' autopsia dimostrò che la causa della morte era l' ingente quantità di plastica che era stata mangiata. Ma le acque dell' Oceano Pacifico non trasportano solo detriti. Nel mare di fronte a Fukushima si registrano livelli altissimi di radioattività a causa dell' acqua scaricata dalla centrale.

Una catastrofe per il Giappone e per tutti i paesi vicini. Le correnti non hanno confini e porteranno le acque radioattive chissà dove. Di fronte a una tragedia di simili dimensioni mi viene da pensare che una possibile strada da percorrere c' è. Non è sufficiente metterci una toppa. Bisogna rendersi conto che i costi ambientali non possono più essere lasciati fuori dal conto economico. È solo facendo i conti fino in fondo che apparirà chiaro che l' unica via possibile da perseguire per il futuro del pianeta e dell' umanità è quella delle energie rinnovabili, dei materiali biodegradabili e dello sviluppo sostenibile.

9 aprile 2011
da corriere.it

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie per la segnalazione. Ho condiviso l'articolo sulla pagina di Facebook di Ecoinchiesta.
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