Che commento si può fare, a questo punto, su una vicenda simile?
Bisogna interrogarsi sul nostro grado di civiltà. L’affare Cucchi ha attirato l’attenzione sul caso Uva: un uomo di 43 anni, Giuseppe Uva, fermato in stato d’ebbrezza a Varese alle tre di notte del 14 giugno 2008, portato in caserma e pestato a morte per tre ore di seguito. Lo hanno seviziato: ci sono tracce di sangue dietro i pantaloni, attorno ai testicoli e all’ano. Gli slip sono spariti. Un testimone dice che tra quelli che l’hanno ammazzato di botte c’è un carabiniere la cui moglie aveva avuto una storia con la vittima... Ma che Italia è?
Alla fine potrebbero essere due casi isolati.
Forse. Ma è tutto il sistema della nostra repressione che mi fa dubitare. Nelle carceri italiane muoiono 150 detenuti l’anno. Un terzo per cause naturali, un terzo si ammazza, l’ultimo terzo va all’altro mondo per «cause da accertare». A parte il fatto che i suicidi non sono normali (21 volte più suicidi in cella che fuori), in base ai dati del dossier Morire di carcere, elaborato dall’associazione Ristretti orizzonti, su 50 «cause da accertare», 16 sono in mano alla magistratura. Cioè l’accertamento ha un risvolto penale. Si tratta di detenuti uccisi ufficialmente da un infarto, ma che avevano la testa spaccata. O di suicidi pieni di lividi. Secondo Ristretti Orizzonti «la morte di Stefano Cucchi ha avuto l’effetto di scoperchiare il calderone infernale delle morti in carcere».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
la mancanza di chiarezza in questi casi è vergognosa per un paese civile.
Posta un commento