venerdì, agosto 28, 2009
“…Ovunque andassi, qualcuno mi veniva incontro parlando al telefono e qualcuno mi seguiva parlando al telefono. Quando presi un taxi, l’autista era al telefono. Per uno che spesso passava molti giorni di seguito senza parlare con qualcuno, fui costretto a domandarmi cos’era crollato nella gente, di ciò che prima la teneva insieme, per rendere l’incessante chiacchiericcio telefonico preferibile a una passeggiata sotto la sorveglianza di nessuno, a un momento di solitudine che permetteva di assimilare le strade attraverso i propri sensi corporei e di pensare la miriade di pensieri che ispirano le attività di una città. Per me, faceva sembrare comiche le strade e ridicole le persone. Eppure sembrava anche un’autentica tragedia. Sradicare l’esperienza della separazione doveva avere inevitabilmente un effetto drammatico. Quali saranno le conseguenze? Tu sai che puoi raggiungere l’altra persona in ogni momento, e se non puoi diventi impaziente, impaziente e irritato come un piccolo, stupido dio. Sapevo bene che il silenzio di fondo era stato abolito da un pezzo nei ristoranti, negli ascensori e nei campi da baseball, ma che l’immensa solitudine degli esseri umani dovesse produrre questo sconfinato desiderio di essere ascoltati, unito al disinteresse per chi ascolta le tue conversazioni…be’, essendo io vissuto largamente nell’era delle cabine telefoniche, le cui solide porte a fisarmonica potevano essere ermeticamente chiuse, rimasi colpito dalla cospicuità di tutto questo e mi sorpresi a nutrire l’idea per un racconto in cui Manhattan diventava una sinistra collettività dove tutti spiano tutti gli altri, tutti sono controllati dalla persona all’altro capo della linea, anche se, nel telefonarsi senza posa da ogni parte,all’aria aperta, chi telefona crede di godere della massima libertà…” PHILIPH ROTH
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