Il caos delle pile scariche
Arriva la normativa dell'Ue sul riciclo, ma
in Italia nessuno sa dove raccoglierle
Di sicuro ad avere le pile scariche saranno i consumatori, dopo aver girato invano tra tabaccai, negozi di elettronica e cassonetti alla ricerca di un contenitore dove buttare le batterie esauste. Sempre che, in preda alla disperazione, le pile non vengano poi gettate in mezzo agli altri rifiuti, con tanti cari saluti alla coscienza ecologista.
Celebrare il funerale delle batterie è un'impresa destinata a soccombere tra direttive europee, decreti, commissioni, ministeri e scartoffie burocratiche. Un classico della disorganizzazione italiana. La direttiva europea che disciplina la materia «rifiuti di pile e accumulatori» è del 2006 e viene recepita dall’Italia nel 2008, con la calma solitamente riservata alla legislazione comunitaria. Di proroga in proroga si è arrivati al 2010. E il caos regna sovrano.
Nel frattempo si è avuta la liberalizzazione del settore. Mentre prima esisteva un unico consorzio senza fini di lucro (il Cobat, incaricato da vent’anni della raccolta e del riciclo delle batterie industriali e non), adesso ne sono nati altri 14. La normativa prevede infatti che i costi della raccolta e lo smaltimento delle pile siano a carico dei produttori. Che però possono anche scegliere come farlo, se autonomamente o avvalendosi appunto dei consorzi. Esiste finanche un Registro Nazionale Pile, a cui per legge i produttori devono essere iscritti. Di fatto però il cittadino non sa dove andare a buttare le batterie di orologi, macchine fotografiche e telefonini.
Al Cobat lo dicono senza giri di parole: «Riteniamo che la gestione dei rifiuti delle pile e degli accumulatori, soprattutto quelle portatili, sia governata dal caos». La confusione di cui sopra scaturisce anche dal fatto che, mentre per le batterie delle auto (accumulatori al piombo), c’è un ritorno economico - le quotazioni oscillano intorno ai 1600 euro alla tonnellata, attirando anche soggetti che effettuano la raccolta al limite della legalità - delle pile normali nessuno si cura, visto che la gestione del rifiuto è solo un costo e i materiali recuperabili non arrivano al 50 per cento, a causa delle dimensioni ridotte. Inoltre non esistono impianti adatti in Italia (i più vicini sono in Francia e Svizzera).
«Abbiamo spinto molto per la liberalizzazione del settore», spiega Maria Antonietta Portaluri, direttore di Confindustria Anie, l'associazione di categoria dei produttori che rappresenta il 90 per cento del mercato. «Così ognuno è libero di organizzarsi, facendo in casa la raccolta e lo smaltimento oppure aderendo ai consorzi». Numeri, però, non ce ne sono. «Solo tra un anno sarà possibile avere delle cifre. Nel caso della raccolta di apparecchi elettrici ne servirono due». Gli unici a fornire delle cifre sono quelli del Cobat. «Il servizio di raccolta e riciclo delle batterie al piombo - quelle delle auto - è a disposizione di 70 mila produttori del rifiuto, per un numero di ritiri pari a 140.780 l'anno, 560 al giorno. In 20 anni di attività il Cobat ha raccolto quasi 3 milioni di tonnellate di batterie esauste, pari a circa 230 milioni di batterie avviate a riciclo e ha recuperato oltre un milione e mezzo di tonnellate di piombo, 131 mila tonnellate di polipropilene e ha neutralizzato 455 milioni di litri di acido solforico».
Ma dove bisognerà buttare invece le pile stilo del telecomando? A decidere tutto questo sarà un fantomatico Centro di Coordinamento, che dovrebbe far capo al ministero dell’Ambiente e che però molto prosaicamente gestirà pure i finanziamenti per le operazioni di raccolta, trattamento e riciclo in funzione della tipologia e delle quantità delle pile. «Noi come Anie coordineremo il centro di coordinamento e siamo in attesa del riconoscimento», continua l'avvocato Portaluri. Coordinare il centro di coordinamento è un'attività che di per sé mette già i brividi. In effetti abbiamo sollecitato molte volte il ministero su questo punto - ammette il direttore dell'Anie -. Speriamo entro fine mese di avere una risposta».
Francesco Panerai, presidente dell’Associazione commercianti radio, tv, elettrodomestici, dischi e affini aggiunge: «La situazione è peggiorata. Prima era un obbligo se non effettivo almeno morale per le municipalizzate raccogliere questo tipo di rifiuti. Oggi, essendo stati responsabilizzati i produttori, se ne possono lavare le mani». Italia: dove, oltre alle pile, è meglio che anche la pazienza sia ricaricabile.
da lastampa.it
1 commento:
Io le pile stilo o simili le porto quando vado all'esselunga e le butto nei raccoglitori che ci sono all'ingresso.... W i punti fidaty....
PS: ci stava bene....
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