mercoledì, settembre 08, 2010

8 SETTEMBRE 1943

DA EMEROTECA ITALIANA

L'ANNUNCIO DELLA FIRMA DELL'ARMISTIZIO DI CASSIBILE

Ecco il messaggio letto ieri sera alla Radio alle ore 19.42 dal Maresciallo Badoglio: «Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza». Sul fronte calabro intanto reparti italiani e germanici ritardano, in combattimenti locali, l'avanzata delle truppe britanniche. La notizia della firma dell'armistizio è stata comunicata a Churchill e a Roosevelt.

L'ANNUNCIO DELLA FIRMA DELL'ARMISTIZIO DI CASSIBILE

Roma, 8 Settembre 1943

Risalire. Giorno di profonda tristezza per il popolo italiano, se anche nel primo momento la fine d'una guerra impopolare, che ha sparso di lutti e di rovine tutto il Paese, abbia potuto dare un senso d'istintivo sollievo. Tre anni di sacrifizi non hanno portato che a questo risultato. Sopra ogni resistenza, sopra ogni speranza di una conclusione meno gravosa, sopra ogni tentativo di far meglio valere gli sforzi fin da principio inadeguati è passata, più che la volontà imperiosa del nemico, la crescente certezza che la partita era irrimediabilmente perduta. Tristezza profonda d'oggi, amarezza degli ultimi mesi, mentre la guerra urtava alle nostre porte, invadeva il suolo della patria, annullava a mano a mano ogni tentativo di reggere col solo coraggio degli uomini a una evidente insufficienza materiale, a una impreparazione che la lunga durata della lotta doveva rivelare sempre più calamitosa.

Ed ecco questo popolo tratto da una duplice realtà ad approvare la cessazione di ostilità che erano divenute un vano olocausto di combattenti e un martirio di città indifese e a segnarla nello stesso tempo col segno del lutto, perché pesano ugualmente su di lui un passato di cui ha così scarsa colpa e un avvenire di cui lo travaglia il pensiero. Due date sorgono nella mente: il 4 novembre 1918, l'8 settembre 1943. Due guerre: col popolo, senza il popolo. E nel confronto è tutta la storia da cui bisogna risalire. Le bandiere d'Italia s'inchinino ai caduti, ai mutilati, ai superstiti, che hanno compiuto senza misura il loro arduo dovere. Si rialzeranno domani nel pugno di uomini che il grande dolore e l'immeritata umiliazione avranno fortificati. L'Italia risalirà. Ha in sé la sua rinascenza: lo spirito liberato e le intime forze riparatrici.

FOLLE COMMOSSE A MILANO - La cittadinanza di Milano ha appreso la notizia dell'armistizio nelle prime ore della sera, fulmineamente diffusa dopo che la radio ne ha dato il primo schematico annuncio. La reazione, timida al principio e incerta, ha preso consistenza più tardi, allorchè si è avuta la sensazione che non si trattava, come molti credevano, di un'informazione inesatta. La gente ha cominciato a uscire dalle case, ad aggrupparsi, infine ad affollare le strade. Era giusto l'ora in cui la città andava vuotandosi delle comitive che si trasferivano lontano dai pericoli delle incursioni. I ritardatari si sono fermati, scendendo dalle biciclette e dalle corriere, e nessuno di essi ha ripreso il viaggio interrotto. Non v'è stata, né al centro né alla periferia, una manifestazione vera e propria, un addensarsi considerevole di masse. Le grida erano poche e senza eco, non si udivano né evviva né abbasso.

Dovunque - a piazza del Duomo come a Porta Venezia, a Porta Ticinese, come in corso Garibaldi - erano folle commosse, non liete. In piazza la folla è rimasta fino a tardissima ora; altrove ha sostato sulle porte delle case, in capannelli. Le luci del giorno erano scomparse da un pezzo e la luna dominava il cielo tesissimo, quando sono tornati dalla campagna molti sfollati. Appena giunti nei paesi ove sogliono passare la notte avevano saputo la notizia e s'erano affrettati a tornare. Il pensiero correva, più che al domani e all'incerta nuova vita che ci attende senza allettanti promesse all'ieri, ai fratelli delle terre invase, ai morti così dolorosamente sacrificati in questa guerra senza speranza. Lo stesso quadro di miseria in cui i milanesi si aggiravano sopravvissuti ci ammoniva delle sofferenze che ci avevano condotto al doloroso finale e ci avevano imposto la suprema rinunzia. Domani una nuova vita, una nuova era, comincia e tutti ne sentono l'incombente onere. Ecco quello che si leggeva sui volti dei milanesi, iersera.

L'IMPRESSIONE A ROMA - La notizia grave e irrevocabile si è diffusa nel cadente crepuscolo per le vie della città a piccoli rivoli lenti; perché pochi avevano ascoltato alla radio il proclama del Capo del Governo e quei pochi per caso, la trasmissione essendo stata diffusa in ora inconsueta. Si concludeva così la lunga e ingrata prova, durante la quale l'onestà guerriera del combattente aveva pur scritto pagine luminose che mai impallidiranno. Confusi, contraddittori e certo non lieti erano i sentimenti della cittadinanza al primo annuncio. Le molte e strane voci che da parecchio tempo si andavano diffondendo, e smentite via via dai fatti, rendevano qualcuno incredulo. Che aveva udito il proclama alla radio veniva attorniato e tempestato di domande. Alcuni scuotevano il capo. Ed era strano vedere come la maggioranza della gente si avviasse inconsapevole alle proprie case con il volto e i discorsi che possiamo dire consueti, e come ancora vi fosse chi sussurrasse inedite notizie su movimenti e propositi bellici del nemico e come piazze e strade fossero identiche a stamane e a ieri nell'animazione dei passanti, nel via-vai degli autobus, e delle macchine di ogni genere.

In corso Umberto il passaggio militarmente grave e compassato di un reparto di artiglieria a cavallo, che forse non aveva niente a che fare con l'armistizio, parve il primo concreto sintomo di qualcosa di nuovo, senza che il pubblico sapesse collegare ragionevolmente i due fatti. Ma intanto a poco a poco un sordo e contenuto fermento andava propagandosi; esso non era fatto di grida, di agitazione, di folle inquiete, ma piuttosto s'indovinava negli sguardi, nei volti ansiosi, nell'atteggiamento dei singoli. E che diceva la gente? Pochi commenti abbiamo udito per le vie, quasi che nessuno sapesse tradurre in parole l'effetto profondo ma confuso che la notizia suscitava nel cuore; sollievo sì, ma anche consapevolezza di un castigo gravissimo e ben lungo da scontare, impostogli da una ingiusta fatalità. La mente intanto correva al nuovo tempo che stava per aprirsi, alle nuove preoccupazioni. Le strade in silenzio si facevano sempre più deserte.

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