Bolzano licenzia 5 dipendenti «fannulloni»
Decisione della Provincia, solo due fanno ricorso. I sindacati: è normale, non serve una legge
Decisione della Provincia, solo due fanno ricorso. I sindacati: è normale, non serve una legge
Giovane, qualificato, un tipo brillante. Assunto a tempo indeterminato come tecnico informatico dalla Provincia di Bolzano. Arrivava in orario, non si metteva mai in malattia. L'unico problema è che non lavorava. Il capo gli dava un incarico, lui restava impassibile. «Sembrava volesse sfidarci tutti », raccontano i colleghi. Non ha trovato neanche un sindacato disposto a difenderlo. E quest'anno, dopo una lunga trafila burocratica, l'amministrazione lo ha licenziato. Lui e altri 4 dipendenti, tre amministrativi e un bidello. Tutti per lo stesso motivo, previsto dal contratto provinciale del pubblico impiego: «Persistente insufficiente rendimento».
Tre erano stati assunti come impiegati. A meno di 25 anni. Un caso raro, in tempi in cui anche l'amministrazione provinciale più ricca d'Italia deve fare i conti con le assunzioni contingentate dal governo. Gli stipendi, complice «l'indennità di bilinguismo» (tutti i dipendenti devono parlare italiano e tedesco), fanno invidia alle altre amministrazioni locali: un impiegato al primo stipendio prende poco più di mille euro al mese, ma ogni due anni scatta un corposo adeguamento. E un capo dipartimento a fine carriera arriva a 9 mila euro netti.
I tre impiegati non devono aver fatto questi conti. Sono stati licenziati senza nemmeno aspettare la fine del periodo di prova, 6 mesi. Al capufficio ne sono bastati tre per accorgersi che stavano seguendo l'esempio del tecnico informatico, che a Bolzano era diventato una piccola celebrità. «Anche loro sembravano farlo apposta — racconta Armand Mattivi, della ripartizione provinciale al lavoro —. Hanno dimostrato una totale indisponibilità a portare a termine i loro incarichi». Dopo diversi richiami il caso è passato alla ripartizione del lavoro, sono stati convocati i sindacati e ne ha discusso anche la giunta provinciale. E adesso «Speriamo che trovino un posto nel privato — conclude Mattivi —. E si mettano a lavorare davvero».
Per il quinto licenziato trovare un nuovo lavoro non sarà facile. Ha 50 anni, licenza media, la madre invalida e problemi di alcolismo. Faceva il bidello in una scuola media, per 5 anni la Provincia gli ha dato dei contratti a termine «sperando di recuperarlo. Ma ora anche la nostra pazienza è finita», racconta Luisa Gnecchi, ds, assessore al Lavoro».
Solo in due hanno fatto ricorso. Nessun sindacalista locale ha minacciato lo sciopero. E neanche dalle segreterie nazionali arrivano proteste: «I licenziamenti ci sono come è normale che sia, ma non servono leggi speciali», dice Carlo Podda della Cgil. «Cinque licenziamenti su 40 mila dipendenti pubblici statisticamente sono poca cosa — conclude la Gnecchi —. Però hanno un valore simbolico. Si dice che in Italia nel pubblico impiego è tutto garantito. A Bolzano non è così. Perché chi non ha voglia di lavorare il posto lo perde». E ora il modello altoatesino potrebbe fare scuola. «Purtroppo oggi manca una classe dirigente in grado di prendersi la responsabilità di licenziare — attacca Daniela Gasparini, anche lei centrosinistra, assessore al personale della Provincia di Milano — Ma per me i fannulloni vanno mandati a casa».
Tre erano stati assunti come impiegati. A meno di 25 anni. Un caso raro, in tempi in cui anche l'amministrazione provinciale più ricca d'Italia deve fare i conti con le assunzioni contingentate dal governo. Gli stipendi, complice «l'indennità di bilinguismo» (tutti i dipendenti devono parlare italiano e tedesco), fanno invidia alle altre amministrazioni locali: un impiegato al primo stipendio prende poco più di mille euro al mese, ma ogni due anni scatta un corposo adeguamento. E un capo dipartimento a fine carriera arriva a 9 mila euro netti.
I tre impiegati non devono aver fatto questi conti. Sono stati licenziati senza nemmeno aspettare la fine del periodo di prova, 6 mesi. Al capufficio ne sono bastati tre per accorgersi che stavano seguendo l'esempio del tecnico informatico, che a Bolzano era diventato una piccola celebrità. «Anche loro sembravano farlo apposta — racconta Armand Mattivi, della ripartizione provinciale al lavoro —. Hanno dimostrato una totale indisponibilità a portare a termine i loro incarichi». Dopo diversi richiami il caso è passato alla ripartizione del lavoro, sono stati convocati i sindacati e ne ha discusso anche la giunta provinciale. E adesso «Speriamo che trovino un posto nel privato — conclude Mattivi —. E si mettano a lavorare davvero».
Per il quinto licenziato trovare un nuovo lavoro non sarà facile. Ha 50 anni, licenza media, la madre invalida e problemi di alcolismo. Faceva il bidello in una scuola media, per 5 anni la Provincia gli ha dato dei contratti a termine «sperando di recuperarlo. Ma ora anche la nostra pazienza è finita», racconta Luisa Gnecchi, ds, assessore al Lavoro».
Solo in due hanno fatto ricorso. Nessun sindacalista locale ha minacciato lo sciopero. E neanche dalle segreterie nazionali arrivano proteste: «I licenziamenti ci sono come è normale che sia, ma non servono leggi speciali», dice Carlo Podda della Cgil. «Cinque licenziamenti su 40 mila dipendenti pubblici statisticamente sono poca cosa — conclude la Gnecchi —. Però hanno un valore simbolico. Si dice che in Italia nel pubblico impiego è tutto garantito. A Bolzano non è così. Perché chi non ha voglia di lavorare il posto lo perde». E ora il modello altoatesino potrebbe fare scuola. «Purtroppo oggi manca una classe dirigente in grado di prendersi la responsabilità di licenziare — attacca Daniela Gasparini, anche lei centrosinistra, assessore al personale della Provincia di Milano — Ma per me i fannulloni vanno mandati a casa».
25 agosto 2007
da corriere.it
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