Immagino si tratti della zona a sud della Caffaro. Sapevo che eravamo messi male, ma non pensavo così male...
Su segnalazione di Ciccio...
Brescia, la bomba ecologica che tutti ignorano
C’è un grazioso volantino pieghevole, firmato dall’Assessorato all’Ambiente e Ecologia di Brescia
e distribuito alla popolazione, che illustra con disegni colorati le
misure precauzionali e i comportamenti che i cittadini (specie i
bambini) devono evitare per proteggere la propria salute e ridurre i
rischi di contaminazione:
non giocare in mezzo ai prati, non rimanere a contatto con il suolo,
non sdraiarsi e non stazionare sui manti erbosi, non giocare con la
terra e con i fiori, lavare accuratamente e regolarmente qualunque cosa
(mani, giocattoli, indumenti) sia stata a contatto con l’esterno.
Ci sono otto moderne stalle dove si produceva ottimo latte e ora sono vuote, abbandonate, chiuse d’ufficio:
nel latte munto le diossine erano troppo alte.
Ci
sono i dati di ARPA, 5 prelievi effettuati a 30 cm di profondità nel
terreno, in aree residenziali e verdi dove vivono tuttora 25.000
persone, che registrano
concentrazioni di diossina e pcb centinaia di
volte superiori rispetto ai limiti di legge. Più che a Seveso. Più che a Taranto.
E
poi c’è il dott. Fulvio Porta, Primario dell’Unità di Oncoematologia
Pediatrica, che ammutolisce i presenti durante un convegno, alla
presenza di dirigenti Arpa e magistrati della locale Procura della
Repubblica, riportando un dato statistico: aumento del
20 per cento dei tumori infantili (da 0 a 14 anni) rispetto agli anni Cinquanta.
Non
siamo a Seveso, 1976. E nemmeno a Taranto, 2011. Ci troviamo a Brescia,
a.d. 2012. E la vita prosegue seguendo un’apparente, spaventosa
normalità.
Non c’è stato alcun incidente di particolare rilevanza;
nessun tentativo di alterare i dati delle rilevazioni; non ci sono
imprenditori che corrompono periti e consulenti.
Suolo aria e acqua sono
intrisi di micidiali veleni prodotti e accumulatisi per decenni dalle
attività industriali, alcune chiuse (Caffaro, policlorobifenili) altre
tuttora in corso.
Una ricerca pubblicata dalla rivista scientifica Chemosphere-Environmental Toxicology and Risk Assessment,
poco diffusa fra gli abitanti e in lingua inglese, raffronta i
risultati delle analisi del sangue umano di cittadini residenti in aree a
rischio della Campania (la “
terra dei fuochi” tra i casertano e il napoletano descritta da Roberto Saviano in
Gomorra) di Brescia: il sangue dei bresciani presenta concentrazioni di diossine e PCB da
due a venti volte superiori rispetto ai cittadini della Campania direttamente esposti nelle aree a rischio.
Un cocktail di veleni che fa di
questo territorio uno dei siti più inquinati d’Europa.
Lo sanno tutti. E
tutti sanno che non esiste un provvedimento
miracolistico in grado di depurare improvvisamente la falda contaminata,
i terreni insalubri e l’aria inquinata.
Servono risorse, e serve un
piano.
Ecco: la cosa che più angoscia, in questa spaventosa
normalità lombarda e bresciana, è l’assenza di un piano, di una
strategia (alla quale, ovviamente, devono agganciarsi le necessarie
risorse, nazionali e comunitarie).
Regione assente, governo idem.
Quasi come se la comunità locale, abbandonata a sé stessa, avesse
accettato come inevitabile il fatto di convivere con alte concentrazioni
di diossine nel sangue umano e nel latte materno, pur sapendo le
conseguenze di tutto questo.
Per Umberto Ambrosoli e per gli altri candidati alla presidenza della
Regione Lombardia,
una sfida inevitabile: trasformare la bomba ecologica bresciana in un
laboratorio di risanamento ambientale all’avanguardia in Europa, perché
avviare una nuova politica sanitaria a tutela della salute dei cittadini
significa, specie in Regione Lombardia, una cosa semplice: prevenzione.
11 dicembre 2012