Il video ufficiale del + flash mob tenutosi sabato 2 ottobre presso il centro commerciale Freccia Rossa a Brescia...

"A bunch of crazy people"
Ne ha parlato anche Wired in un recente articolo, simpaticamente intitolato “Non capita soltanto a te”: il monitoraggio ha esaminato un milione e 200.000 tweet inviati nei mesi di agosto e settembre e il risultato è stato crudele oltre ogni aspettativa:
Più di 7 tweets su 10 affondano nel Web senza alcun tipo di reazione da parte del mondo. Dei rimanenti, solo il 6 per cento guadagna un retweet, e il 92 per cento di questi avviene entro la prima ora. Moltiplicando queste probabilità, significa che meno di un messaggio su 200 viene re-tweettato dopo un’ora. In sostanza, una volta che è postato, il tuo messaggio ha un’ora di vita e poi è storia antica.
Lo studio non indaga sulle ragioni di un numero così alto di tweet che non riescono a generare una risposta. Sicuramente il sistema di microblogging tende a spingere verso il basso i contenuti meno recenti, privilegiando l’aggiornamento. Secondo alcuni commentatori, sarà interessante vedere come il nuovo Twitter saprà incoraggiare le relazioni più lunghe all’interno del sito.
Bisogna comunque fare attenzione a non sopravvalutare l’importanza del retweet rispetto alla capacità di Twitter di dare visibilità alle nostre emozioni, e anche le nostre informazioni. È esperienza comune, ad esempio, che mettendo sempre un link che pubblicizza un proprio post, magari a scadenza costante, il numero di accessi verso un sito Web aumenti anche in assenza di retweet.
Questo perché se si riesce a creare interesse chi ci segue clicca sul link e visita il sito. Per non parlare della scansione dei motori di ricerca tramite parole chiave. Insomma, la costellazione di Twitter è molto complessa, una vertigine di opportunità.
[....]
L'immagine di un paese
di SERGIO ROMANO
da corriere.it
Il lettore troverà in altre parti del giornale le parole inaccettabili che il presidente del Consiglio ha pronunciato ieri alla Fiera di Milano. Posso quindi esimermi dall’obbligo di ripetere ciò che è stato detto sui gay e sui mezzi d’informazione. Ma non posso impedirmi di pensare che Berlusconi stia distruggendo ciò che è riuscito a fare in questi anni. Conoscevamo il suo carattere, le sue debolezze, il suo conflitto d’interessi, le leggi ad personam e certi aspetti goliardici della sua personalità. Sapevamo che i suoi continui scontri con la magistratura rappresentavano un rischio per la tenuta delle istituzioni e l’equilibrio fra i poteri dello Stato.
Ma non ho mai pensato, a differenza di altri, che i suoi governi fossero inetti e impotenti. Mi sarebbe sembrato assurdo ignorare i risultati della lotta contro la criminalità organizzata, la riforma universitaria del ministro dell’Istruzione, gli entusiastici furori riformatori del ministro della Funzione pubblica, i passi compiuti sulla strada del federalismo fiscale, le missioni militari all’estero, l’attenzione dedicata ai problemi dell’energia, il progetto sulla legislazione del lavoro, la maggiore sensibilità per le opere pubbliche, certi interventi della Protezione civile, il recupero dell’evasione fiscale, la prudenza e l’abilità con cui è stata affrontata la crisi del credito. So che il bilancio deve tenere conto anche delle molte cose promesse e non fatte o fatte male. Ma se mi guardo attorno e confronto la politica italiana con quella di altri Paesi dell’Unione europea, non mi sembra che l’Italia, quando la partita si gioca sulle cose fatte e da fare, sia rimasta indietro. E guardandomi attorno non vedo altro Paese dell’Unione europea in cui lo stile di vita del premier, spesso per sua deliberata volontà, sia divenuto il tema centrale della politica nazionale.
Berlusconi non sembra rendersi conto che questa pubblica rivendicazione delle sue debolezze private sta divertendo il mondo, riaccendendo tutti i più triti pregiudizi sul carattere degli italiani e soprattutto oscurando quello che il governo è riuscito a fare in questi momenti difficili. Non credo che il presidente del Consiglio possa continuare a polemizzare con tutti, a braccio e nelle occasioni più disparate, senza neppure calcolare gli effetti delle sue parole su coloro che non gli sono pregiudizialmente ostili. Voglio sperare invece che Berlusconi possa ancora, se lo vuole, lasciare la tribuna delle dichiarazioni improvvisate per tornare a Palazzo Chigi dove lo aspettano molte cose da fare e molti problemi da risolvere. Se vi è ancora spazio per un accordo con Fini, tanto meglio. Il Paese non ha bisogno di una crisi che rischierebbe di frantumare il quadro politico nazionale con conseguenze forse devastanti.
La nazione ha il diritto di essere rappresentata autorevolmente nelle sedi in cui si sta disegnando il nuovo profilo della finanza internazionale e soprattutto a Bruxelles, dove nei prossimi mesi si deciderà, tra l’altro, la politica fiscale dell’Europa. Ma se la prospettiva razionale non fosse praticabile, è meglio tornare alle urne senza la scorciatoia di improbabili governi tecnici. Temo che dalle elezioni anticipate possano uscire equilibri ancora più traballanti degli attuali. Ma niente è più grave di questo continuo stillicidio di picche e ripicche, questa sciagurata confusione di pubblico e privato. Gli italiani non lo meritano.
Sergio Romano